La recensione de Il mistero di Donald C., il nuovo film di James Marsh con Colin Firth e Rachel Weisz tratto da una incredibile storia vera, al cinema dal 5 aprile 2018.
Donald Crowhurst è un tranquillo uomo d’affari di mezza età con una bella famiglia e la passione per la vela amatoriale. Coi suoi figli e la sua bella moglie si diletta infatti a passare spensierate giornate al mare in barca in cui spiega i rudimenti della navigazione ai bimbi che lo guardano e ascoltano incuriositi e partecipi come si guarda un vero eroe.
In occasione di un evento che festeggia un navigatore solitario che ha concluso vittoriosamente il giro del mondo con un solo stop, Donald viene completamente affascinato dall’impresa e decide di iscriversi alla Golden Globe Race del Sunday Times, che prevede la circumnavigazione del globo, questa volta, però, senza tappe.
Dal momento in cui prende questa pazza decisione, Donald deve fare i conti con le relative conseguenze ovvero il costruire un’imbarcazione adatta e tecnologicamente attrezzata, la ricerca degli sponsor, il rispondere alle domande di giornalisti e pubblicitari, il rassicurare l’amata moglie sul fatto di non essere completamente impazzito e di ritornare tutto d’un pezzo… insomma, una bella quantità di pensieri che non lasciano certo tempi morti nei mesi precedenti la partenza.
James Marsh, dopo l’acclamatissimo La teoria del tutto, prende in mano questa storia vera, conosciuta solo dagli appassionati di vela e di avventure di mare, e con Il mistero di Donald C. ci narra una vicenda che ha dell’incredibile.
Affascinato dai registri di bordo di Crowhurst, il regista realizza un film che esplora diversi aspetti oltre a quello di per sé epico. Quella che ci presenta è, infatti, la voglia del protagonista di spingersi oltre ai limiti pur sapendo di non avere i mezzi, le capacità, e l’esperienza necessaria, per far fronte a una traversata del genere. La solitudine in mare è semplicemente ciò che prova nelle settimane in cui è immerso totalmente nel suo mondo, lontano da quella realtà dove è sempre stato il più classico e regolare degli uomini comuni.
La scelta di focalizzarsi meno sulla gara e più sull’evoluzione dei sentimenti e delle paure, con parentesi di semi-delirio, è l’elemento che permea l’intera pellicola, facendo apparire Donald sempre più una creatura mille miglia lontana da tutto e da tutti.
Per contro, alcune scelte narrative e di montaggio rendono il racconto frammentario e non completamente coinvolgente. Si perde un po’ l’aspetto epico che ci si attenderebbe da una simile trasposizione cinematografica, anche se probabilmente mantenere un tono minore che riflettesse lo spessore dell’uomo, era proprio lo scopo dell’autore.
I due attori principali, Colin Firth nella parte di Crowhurst e la bellissima Rachel Weisz in quella di sua moglie, brillano in una storia che sembra quasi cucita loro addosso. Soprattutto all’attrice britannica che, con la sua fisicità e le espressioni misurate tipiche del suo modo di recitare, riesce a incarnare perfettamente la donna di quegli anni, tutta casa, famiglia ed appoggio incondizionato allo sposo. Firth, dal canto suo, ci regala una delle migliori interpretazioni degli ultimi anni: dona umanità al suo personaggio, riuscendo a non creare un eroe poco veritiero e con cui sarebbe, al contrario, difficile immedesimarsi.
Il mistero di Donald C, è, in conclusione, un film che rimanda, anche visivamente (con tanto di scelte cromatiche che ricordano il super 8 ed i colori saturi degli anni 50/60) ad un’epoca in cui i sogni erano una parte fondamentale della società (si pensi, ad esempio, allo sbarco sulla luna). Forse, proprio per questo, la trama risulta interessante e credibile e va letta quasi come testimonianza documentaristica (anche se tecnicamente non lo è) di una vicenda e di un uomo che altrimenti sarebbero rimasti relegati alle pagine della letteratura di settore.
L’ora e quaranta minuti di durata è la lunghezza giusta per apprezzare una pellicola che regala al pubblico una storia onesta e senza troppe sbavature da filmone d’impresa hollywoodiano, il che lo rende senz’altro godibile, interessante e curioso.
Anna Falciasecca
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Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.