Recensione di Charley Thompson (Lean on Pete), il nuovo film di Andrew Haigh al cinema dal 5 aprile 2018. 

il poster ufficiale del film Charley Thompson

il poster ufficiale del film Charley Thompson

Il suo regista Andrew Haigh (Weekend, 45 Anni) la definisce la storia di un ragazzo che “ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e di qualcuno di cui prendersi cura”.
Il giovane protagonista Charlie Plummer, che ci vince il Premio Mastroianni a Venezia, parla di “un personaggio pieno di speranza, che non si arrende neanche quando le cose si fanno insostenibili”.
I due principali artefici di Charley Thompson presentano così uno dei film più intensi e poetici della stagione, freccia drammatica che attraversa l’America e la trafigge al cuore.
Haigh (britannico, come la prestigiosa BFI che produce il film) si cala perfettamente nel ruolo, riportando sullo schermo le profonde voragini sociali della provincia americana del romanzo La Ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin; è un racconto che sembra un Huckleberry Finn odierno, la fuga disordinata di due innocenti sui sentieri desertici degli Stati Uniti centrali.

Charlie Plummer in una scena del film Charley Thompson - Photo: courtesy of Teodora Film

Charlie Plummer in una scena del film Charley Thompson – Photo: courtesy of Teodora Film

Sono il quindicenne Charley, con madre latitante e padre defunto, e Lean On Pete, cavallo anziano che il ragazzo strappa a un destino di sfruttamento e morte.
Prima, va in scena il fascino dolorosissimo e tremendamente anacronistico dell’ambiente delle corse, dove fanno capolino i sempreverdi talenti di Steve Buscemi e Chloë Sevigny.
Durante, una parata di miseri incontri rivela cuore e calore, dignità e soprattutto ombre dell’arido entroterra della nazione.
Lo specchio di tutto questo è il meraviglioso travaglio di Charley, che tocca necessità primarie e identità, costruttivo, quasi pedagogico, fatto con mattoncini di tenacia e speranza naif.
Sarà sufficiente per darsi e dare il lieto fine?

Steve Buscemi in una scena del film Charley Thompson - Photo: courtesy of Teodora Film

Steve Buscemi in una scena del film Charley Thompson – Photo: courtesy of Teodora Film

A colpire forte, in Charley Thompson, è la maestosa sinergia che lega gli elementi della tradizione classica del cinema americano (del resto, l’impianto principale è quello del road movie) ad alcune sfumature moderne che emergono in termini di narrazione, di tecniche e soprattutto di magistrale dribbling antiretorico.
Avendo poi ancora negli occhi le insopportabili, ruffiane evasioni alla Into The Wild e dintorni, non posso che accogliere Charley Thompson con le trombette: come un romanzo picaresco, perfettamente fotografato dal danese Magnus Jønck, la struggente solitudine di Charley e del mesto Pete è sempre lirica, mai patetica, simile alla vita nel suo risolversi a cavallo (è proprio il caso di dire) tra sogni, apprendimento e tragedie.
La progressione del distacco di Charley dal resto del mondo è fagocitante, ma la decisione non è mai né semplice né del tutto salvifica. Questa morale, insieme alla sensibilità antispecista del giovane eroe, contagia e stritola lo stomaco.
Soprattutto quando la sceneggiatura di Haigh, con esemplare modus operandi, si abbandona alle spalle tutti gli altri personaggi per coccolare e seguire il quindicenne senza famiglia e senza casa, che antepone la salvezza di un cavallo in là con gli anni alla sua.

La traversata di Charley diventa così un rito di passaggio, una brusca iniziazione, un dramma profondo ma con risalita e via d’uscita.
Suoni malinconici e sintonie folk accompagnano splendidamente l’itinerario.

Voto: 8/10

Luca Zanovello