La Berlinale 2018 ha calato il sipario. È il momento delle riflessioni e di qualche bilancio. Cosa porteremo con noi nei mesi a venire di questa 68ma edizione? Oltre allo shock per l’Orso d’Oro, a cui abbiamo dedicato delle righe domenica, ci rimarranno impressi anche i tanti volti della letteratura che hanno conquistato la prima serata nei fascinosi Palast cittadini.
Le anteprime serali sono il tocco glam di un festival che, al contrario di Cannes, non impone alcun dress code sul red carpet. Ironicamente, l’eleganza qui è onnipresente in barba alle temperature, ben più rigide di quelle del mese di maggio sulla Croisette. Non si sente mai un gossip né si vedono eccessi, i riflettori sono puntati solo verso le opere arrivate in città in occasione della kermesse.
Le biografie alla Berlinale 2018: gli Special Gala
I Berlinale Special Gala hanno visto dominare la letteratura. Nessun remake, spin off, prequel o tuffo in una realtà distopica, solo ottime pagine sullo sfondo e, in qualche caso, con aggancio alla realtà. È accaduto con The Happy Prince, diretto e interpretato da Rupert Everett, dedicato agli ultimi giorni di Oscar Wilde; e si è ripetuto con Becoming Astrid, il lungometraggio di Pernille Fischer Christensen incentrato sulla storia vera della scrittrice che inventò il personaggio di Pippi Calzelunghe.
In entrambi i casi, si è attinto a testi non sempre impressi nella memoria collettiva. Tutti ricordano i capolavori (soprattutto teatrali), e le abitudini ricche e lussuriose, del poliedrico autore morto a Parigi nell’anno 1900. Molti meno rammentano che i suoi ultimi anni, dopo il carcere, siano stati una lenta agonia fatta di pene d’amore e di finanze in rosso. E in pochi si sono resi conto che sia stato riabilitato solo nel 2016 (!), grazie ad una legge che ha faticato assai per vedere la luce.
E va altrettanto maluccio con Astrid Lindgren, donna di lettere svedese che prima di diventare famosa ha dovuto superare prove durissime. Cresciuta in una piccola realtà, dove si finiva sotto processo in caso di adulterio, e avere figli fuori dal matrimonio era cosa talmente inconcepibile da indurre le giovani a partorire in Danimarca, l’autrice fu un esempio di determinazione, passione e indipendenza femminile. Erano gli anni ’20 e una giovanissima Astrid si avvicinava alla scrittura lavorando per il giornale di Vimmerby quando rimase incinta. Costretta a ripiegare su Stoccolma per evitare lo scandalo, e a partorire oltre frontiera, l’iniziale separazione dal figlio fu determinante per le sue future decisioni – e i suoi racconti.
Due storie differenti, quindi, due destini opposti, due esistenze a loro modo trasgressive per l’epoca in cui si svolsero. Due persone dall’immenso talento sono state portate con misura su pellicola creando un trend che pare aver pervaso tutto il Festival.
Le biografie alla Berlinale 2018: il Concorso Internazionale
Anche in Concorso, infatti, in almeno due casi sono arrivate opere che attingevano da fiumi d’inchiostro (auto)biografico. Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot di Gus Van Sant e Dovlatov di Alexey German Jr.
Il primo trae origine dall’omonima biografia del vignettista americano John Callahan. Rimasto in sedia a rotelle dopo un rovinoso incidente, l’uomo ha dovuto intraprendere una durissima battaglia contro l’alcool per rimettersi in carreggiata. Van Sant si concentra sui difficili step verso la sobrietà e si affida all’enorme talento di Joaquin Phoenix per rendere la ricostruzione credibile. Anche in questo caso, al di fuori degli States difficilmente si era a conoscenza del doloroso background di Callahan e la curiosità ha giovato al risultato finale.
Come ultimo esempio, menzioniamo il lungometraggio del regista moscovita Alexey German Jr. il quale, propone un ritratto della realtà in cui vissero lo scrittore ebreo russo Sergei Dovlatov (1941–1990). l’amico Joseph Brodsky e altri importanti letterati i cui testi vennero censurati nell’Unione Sovietica degli anni ‘70. Il film si concentra su sei giorni nella vita, nelle amicizie e nel talento di Dovlatov. Quando era ancora a Leningrado, si doveva sposare e cercava di essere pubblicato. Quando c’era ancora speranza.
E la speranza, oltre ad un’incrollabile passione, è la lezione con cui rincasiamo da una Berlinale che sembra aver dato il meglio di sé proprio quando ha avuto a che fare con le vite degli altri.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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