Recensione di UNSANE, il thriller di Steven Soderbergh in anteprima alla Berlinale 2018.
Steven Soderbergh torna dietro la macchina da presa e porta a Berlino UNSANE.
Il regista di Atlanta, dopo aver dichiarato di voler abbandonare il mestiere, ha deciso di darsi ai film di genere e armato d’iPhone, con un budget ridotto, in sole due settimane, ha dato vita a UNSANE, l’opera che ha conquistato, nel bene e nel male, la platea berlinese.
Il suo è un lungometraggio bipartito. Dopo una prima metà drammatica, e a tratti angosciante, nella seconda passa da un eccesso all’altro con la disinvoltura tipica dei B-movie. Questa spallata apre la porta a nuove sensazioni e, se da un lato disillude, dall’altro diverte e bendispone lo spettatore a non prenderlo sul serio.
I punti di forza (nella prima parte) di UNSANE sono molti.
Protagonista è una donna.
Il suo nome è Sawyer Valentini (Claire Foy) ed è una giovane appena trasferitasi in provincia per un “nuovo” inizio. Presto scopriremo che è reduce da una disavventura che ancora oggi, se stressata o stanca, le provoca allucinazioni. Motivo per cui simpatizziamo per lei mentre cerca (e trova) un sostegno medico.
La scelta si rivela azzeccata. Quando una donna è in pericolo, la trama ripiega subito nel dramma. Sarà per la sua struttura fisica esile, che le impone uno sforzo maggiore nel superare gli ostacoli rispetto agli uomini, ma la sua innata fragilità rende la storia più appassionante.
E se i presupposti sono plausibili, allora si spalanca la porta all’horror.
I social media hanno sovra-esposto le nostre vite. Le attenzioni insistenti, a cui sono soggette molte donne, sono argomento attuale. Gli ospedali privati che senza pazienti vedono il proprio business andare in crisi, sono una realtà. Quindi, se domani ci svegliassimo con alle calcagna un uomo ossessionato da noi, e chiedessimo una valutazione medica del nostro sistema nervoso, potremmo diventare tutte delle neo-Sawyer. E anche questo è un fatto.
La prospettiva del predatore.
Come in ogni buona pellicola ad alta tensione, lo schermo si assottiglia e diventa valicabile ogni qualvolta ci è permesso di vedere con gli occhi di chi sta dall’altra parte. E se quel paio di occhi appartiene al persecutore, l’ansia per l’eroina in difficoltà ci assale e iniziamo a soffrire per lei. Perché, se il thriller si trasforma in horror, sappiamo che il lieto fine non sopraggiungerà.
Qui, la povera Sawyer ha le nostre pupille a pochi centimetri dal suo viso, ci percepisce come lo stalker che da anni non le dà tregua, immaginate pertanto il grado di preoccupazione della gente in sala.
L’ambientazione claustrofobica.
L’ospedale è la vera ciliegina sulla torta. Abbiamo una vittima che non smette di essere vittima e, nella spirale di sfortuna in cui è incappata, si trova, per errore o leggerezza, reclusa in una struttura per malati di mente, alle prese con impiegati che la vogliono internare per puro profitto e un persecutore che le appare ogni sera. È un vero incubo. È il perfetto incubo cinematografico. Questo incubo si chiama UNSANE.
I misteri (della seconda parte) di UNSANE: lei contro il sistema diventa lei contro lui.
Dicevamo però all’inizio che l’opera, seppur intrigante, presenta dei difetti. Il più evidente è la foga, peraltro tipica dei giovani, quindi inspiegabile, di dimostrare di conoscere l’argomento, in questo caso, di mettere carne al servizio di una possibile mattanza.
A circa mezzora dalla fine, ci troviamo catapultati in un altro film. Il thriller psicologico diventa prima un gioco folle poi una assurda follia protesa al “tutto bene quel che finisce bene”, cambiamenti che fanno a pugni con la privazione di ossigeno a cui ci stavamo abituando e di cui non sentivamo la necessità.
Il motivo me lo sto ancora chiedendo o, forse, è più ovvio del previsto. UNSANE nasce come esperimento e, probabilmente, anche per provare a se stessi di riuscire in un’impresa simile. Certe occasioni capitano una sola volta tanto vale sfruttarle sino in fondo, direbbe qualcuno. E Soderbergh ha sperimentato sino all’ultima scena.
UNSANE uscirà nelle nostre sale il 14 giugno 5 luglio 2018 con 20th Century Fox, nel mentre godetevi il trailer.
Vissia Menza
Ultimo aggiornamento il 5 luglio 2018: nuova data di uscita
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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