Recensione di HANNAH, il film di Andrea Pallaoro con Charlotte Rampling al cinema dal 15 febbraio 2018. 

la locandina italiana del film HANNAH

la locandina italiana del film HANNAH

Hannah (Charlotte Rampling) è una donna anziana, che vive in una casa modesta con cane, marito e luci basse.
Quando l’uomo viene arrestato per un crimine ignoto ma vergognoso, Hannah si ritrova in una libera prigione, quella domestica, neutralizzata dal dolore, dalla solitudine e dalla negazione di una realtà in inesorabile disfacimento.

Il giovane regista trentino Andrea Pallaoro, che si era fatto notare cinque anni fa per l’interessante Medeas, racconta con una lenta ma ispirata prosa i dettagli degli effetti collaterali del dramma.
Lo fa con uno sponsor d’eccezione, la candidata Oscar e leggenda del cinema degli ultimi 50 anni Charlotte Rampling, che impersona con la solita sconvolgente bravura una donna annullata.

Quello di Hannah, colf per ricchi ripudiata persino dal figlio, è un dolore non protagonista che fa colpo.
L’incarcerazione del marito, interpretato da André Wilms (sodale di Chabrol e Kaurismaki, tanto per dire), è infatti protagonista nella teoria, ma lasciata sullo sfondo nella pratica, mentre la camera di Pallaoro elegge Hannah ad unica portavoce dei postumi.

Chrlotte Rampling in Hannah (2018) - Photo; courtesy of I Wonder Pictures

Chrlotte Rampling in Hannah (2018) – Photo; courtesy of I Wonder Pictures

La tattica funziona, soprattutto nella mesta descrizione dei gesti quotidiani, aridi e solitari della donna, dove si annida la struggente mancanza del partner e di un consolidata routine.
Il cane che attende invano il padrone, su tutti, è simbolo potente delle implicite sfumature di quel preciso dramma, una dimora che diventa galera tanto quanto quella “istituzionale” che si è presa l’uomo.
Hannah narra tutto questo con la lentezza calcolata e l’ermetismo di dialoghi tipici del cinema d’autore più filosofico e contemplativo, ma non ne è un’insulsa caricatura: anzi, sorprende la salda regia del non conosciutissimo autore, la capacità di non eccedere con le speculazioni emotive, la gestione delle risorse a disposizione.

Gran parte del merito è dovuto prevedibilmente a Mrs Rampling, il cui perenne stato di grazia permette a pressoché ogni sequenza di rendere una tacca in più del normale e di trasformare il suo personaggio in un vero e proprio catalizzatore del dolore afono; la ricompensa è la Coppa Volpi a Venezia, l’apice estetico un nudo non gratuito, aggraziato, sofferente, che rende corporei la vulnerabilità e l’isolamento di Hannah.
Mentre l’immagine di una balena spiaggiata è una delle più poderose del film e rievoca e omaggia, nonostante il dislivello siderale, Le Armonie Di Werckmeister di Béla Tarr.

Nonostante qualche parentesi lasciata in sospeso, soprattutto nel frettoloso finale, Pallaoro acciuffa spifferi di impotenza, disperazione e sofferenza.
E una flebilissima speranza, in una delle frasi che Hannah legge a voce alta nelle sue lezioni di teatro: “devo essere sola per vedere tutto quel che mi circonda”.

Voto; 7/10

Luca Zanovello