Dall’Universo Filmico Marvel, il primo film interamente incentrato su un supereroe africano, interpretato da Chadwick Boseman, che sfida la tradizione per aiutare il mondo.
Black Panther non è solo il nuovo film Marvel, diretto da Ryan Coogler e interpretato da Chadwick Boseman. La Pantera Nera è un simbolo all’interno del mondo dei supereroi. Da profani, potremmo definirlo come una via di mezzo tra Iron Man e Captain America, o tra quest’ultimo e Batman (non me ne vogliano i puristi della Marvel!), ovvero un uomo dalle abilità fisiche fuori dal comune e dotato di tecnologie futuristiche. Al contrario di Tony Stark, però, non è T’Challa, vero nome di Black Panther, a costruirsi armature e gadget, ma lo fa la sorella Shuri, interpretata da una splendida Letitia Wright, in un super laboratorio.
Una storia semplice, ma sempre attuale
Black Panther non è un personaggio inedito nel mondo dei film Marvel. Già in Captain America: Civil War (2016) era comparso nella sede delle Nazioni Unite, dove aveva perso il padre e Re del Wakanda, suo Paese di origine. A due settimane dalla morte di T’Chaka (John Kani), T’Challa viene proclamato Re e come tale si trova a dover sistemare le questioni in sospeso. A cominciare dalla cattura di Ulysses Klaue (Andy Serkis) che, molti anni prima, aveva causato la morte di molti wakandiani durante un furto di vibranio ai danni dello Stato africano.
T’Challa, nei panni di Black Panther, si troverà ad affrontare pericolose sfide e combattimenti, dovrà decidere se fidarsi dell’agente della CIA Everett K. Ross (Martin Freeman) e risolvere una questione lasciata aperta dal padre, dopo aver ritrovato un cugino di cui non sapeva l’esistenza, Erik Killmonger (Michael B. Jordan).
Un supereroe troppo super
Uno dei motivi per cui non mi è mai piaciuto Superman è il suo essere anti-tutto. Una sfida con un “eroe” che non teme nulla e non può essere ferito, diventa inevitabilmente noiosa. E se non si riesce a creare una buona motivazione per cui, a un certo punto, si trova l’arma con cui, finalmente, il nemico di turno potrà mettere in scacco l’eroe si rischia di peggiorare la situazione.
Ho scoperto che Black Panther è l’equivalente Marvel di Superman. Dotato di un’armatura in vibranio, una lega aliena resistente a tutto e indistruttibile, quando indossa il costume non vi è niente che non possa fare. Se, in più, aggiungete tecnologie futuristiche di cui solo lui è dotato, perché sviluppate e custodite gelosamente dal Wakanda, e abilità fisiche che condivide con solo altri due uomini sulla Terra, Steve Rogers/Captain America e Bucky Barnes/Winter Soldier, capirete che contro T’Challa non vi è partita per nessuno, o quasi.
Per questo motivo, la produzione aveva due scelte davanti: puntare sul mainstream o cercare degli elementi che potessero portare Black Panther a distinguersi dalla massa di supereroi, supersovrani, superuomini, supertutto. Quest’ultima sembrerebbe la scelta più ovvia…
E invece hanno scelto il mainstream
Visti i risultati di incassi degli ultimi film sui supereroi (ne parlavo a fine gennaio sul sito amico FantasyMagazine, qui), puntare sul mainstream sembra ripagare le produzioni. Ma a discapito di cosa?
Non si può negare che la computer grafica lasci con la bocca aperta in buona parte del film. Azioni spericolate, scontri tra superuomini e le spettacolari ambientazioni del Wakanda, più simili alla Asgard di Thor che a città terrestri, riempiono gli schermi e catturano l’attenzione dello spettatore.
Attenzione, però, che non viene mantenuta nel resto del film. Le storie vengono raccontate di fretta, quasi come se avessero paura di annoiare. L’unico personaggio che viene davvero indagato sul piano psicologico è T’Challa, cui presta il volto un bravo, ma non ottimo Chadwick Boseman. Molto bravo, invece, Martin Freeman a spalleggiare gli altri attori con la propria presenza e a riempire i vuoti. Anche le battute, poche ma ben calibrate, sono molto buone e spezzano la tensione nei punti giusti, rendendo il film scorrevole e piacevole.
Il Wakanda e l’attacco a Trump
Ultima nota, positiva o negativa starà a voi deciderlo, va ai rimandi espliciti alla politica degli USA.
Il Wakanda, per tradizione, è sempre stato un Paese chiuso in se stesso, protetto da barriere olografiche che nascondessero agli occhi altrui la presenza di tecnologie all’avanguardia e i giacimenti di vibranio. Questo per paura che il mondo potesse cercare di appropriarsene e far scoppiare delle guerre. In Black Panther, T’Challa rompe la tradizione e decide di aiutare le persone in difficoltà con le risorse del Paese. Pronuncia, quindi, all’ONU un discorso sulla propria scelta di costruire ponti e non barriere, per aiutare i popoli della Terra a divenire un’unica, grande tribù.
Vi si legge, qui, un palese attacco al Presidente degli States. Ma questo non dovrebbe sbalordire più di tanto, dopo il video girato da molti attori dei film Marvel e diffuso durante la campagna elettorale del 2016 per incentivare a non votare Trump.
In conclusione, possiamo affermare che Black Panther è sicuramente un bel film di supereroi, ma nemmeno questa volta la produzione è riuscita ad andare oltre una pellicola stracolma di effetti speciali e povera di contenuti.
Simone Bonaccorso
Diplomato all’aeronautico, laureato in Scienze della Comunicazione a Pisa, cerca una specializzazione nel settore dei media digitali con un Master presso Il Sole 24 ORE Business School ed Eventi. Regista radiofonico per quattro anni a Radioeco.it, collabora con il sito amico FantasyMagazine.it di cui dal 2016 è anche Social Media Manager.