My Generation, il documentario su come i giovani della classe operaia hanno cambiato la storia di Londra agli occhi del mondo, arriva al cinema dal 22 al 29 gennaio 2018.
Gli anni ’60, i Beatles, i Rolling Stone, le minigonne, la pop art, i club, le feste.
Tutto questo e molto altro è la Londra del Dopoguerra. La città con gli occhi del mondo puntati addosso perché è qui che stavano nascendo le tendenze che si ritagliavano sempre più spazio sulle copertine dei giornali. Questa è la mitica Swinging London e questo è il racconto che ce ne fa Michael Cane, anzi, Sir Micheal Cane, ovvero l’attore britannico di maggior successo dell’ultimo mezzo secolo.
Il “Sir” in tal caso è d’obbligo, non solo per correttezza di riferimento ma, soprattutto, perché quello che ci viene presentato non è un nostalgico viaggio nel tempo bensì una testimonianza di quanto quegli anni sorprendenti ed irripetibili siano stati il risultato della voglia di vita e di libertà dei giovani della classe operaia – coloro che avrebbero dovuto portare avanti il lavoro dei propri genitori tenendo ben presenti i propri limiti, a livello di ambizione sociale.
Come si può non pensare, infatti, alla rigida divisione in classi di cui il Regno Unito è stato, per decenni, il maggior rappresentante?
Ecco, grazie proprio al racconto dell’attore, il cui vero nome è Maurice Joseph Micklewhite Jr, fiero prodotto della classe cockney, questo documentario pone l’attenzione proprio sullo sconvolgimento sociale che investe la capitale inglese grazie all’energia dei ventenni e trentenni dell’epoca. Ragazzi che non si sono adeguati ad un modo di vivere che era segnato e che hanno prodotto una delle rivoluzioni collettive, il cui mito arriva ancora forte ai giorni nostri.
Il regista David Batty per questo film, che ha richiesto sei anni di ricerche e riprese, ha messo mano ad un archivio vastissimo di immagini datate e inedite della città, puntando l’attenzione su tutto quanto potesse far trasparire il fermento culturale che arrivava dalla strada, dai club, dai negozi e dagli studi di registrazione. La scelta autoriale di utilizzare la pellicola dell’epoca, con tutte le sue sgranature, i suoi salti, i bagliori dovuti alle sovrapposizioni, insieme alla musica ascoltata dai vinili, dà un senso di coinvolgimento ed autenticità che fa di My Generation una vera macchina del tempo in grado di catapultarci nel centro del ciclone creativo, in cui i giovani artisti si sono ritrovati a vivere.
Le redini del racconto sono tenute dall’attore che, non solo si presta ad accompagnarci in una Londra contemporanea alla scoperta dei luoghi culto, come il leggendario club Ad Lib di Leicester Square, ma con la sua voce narrante è protagonista anche delle numerose interviste ai personaggi chiave dell’epoca, che ci offrono un punto di vista diretto e magico e ci fan capire quanto quei tempi siano stati unici ed irripetibili.
Ci ritroveremo quindi a dialogare con artisti del calibro di Paul McCartney, i Rolling Stones ed il fotografo David Bailey, attorno a cui si creò un via vai di modelle e di vita al limite che fu anche di ispirazione per Blow Up di Michelangelo Antonioni (girato anch’esso a Londra nella metà degli anni ’60), Marianne Faithful, la modella icona del tempo Twiggy, Mary Quant (l’inventrice della minigonna), Joan Collins… insomma, tutti i rappresentanti di un decennio che è stato tanto veloce quanto potente.
Oltre alle persone, però, il documentario si concentra anche sulla strada, sui luoghi diventati simbolo del bel vivere come antidoto e contrapposizione ai grigi “vecchi tempi” degli anni post Seconda Guerra Mondiale a cui facevano orgogliosamente riferimento i rigidi genitori di questa gioventù ribelle e libertina. Luoghi che hanno portato il colore sui muri, la pop art negli angoli di vie anonime, i negozi di abbigliamento che diventavano mete turistiche al pari di Buckingham Palace e Carnaby street. E ancora la cultura mod, i club fumosi dove si suonava e si ballava sino alle ore piccole, fino alle case private dove si consumavano le droghe che, per la prima volta, si prendevano spudoratamente il loro spazio nella vita dei sudditi di Sua Maestà.
Il susseguirsi delle immagine di una Piccadilly Circus attuale magistralmente alternate a quelle storiche, non solo ci regalano uno scorcio unico su una generazione che ha lasciato il segno, ma ci fa anche realizzare quanto sarebbe impossibile ricreare lo stesso mix di energia e spudoratezza in un’epoca come la nostra, dove tutto corre veloce sul filo di internet e dei social network, dove chiunque si sente artista e dove ciò che viene creato, nella maggior parte dei casi, è destinato a durare non più di un battito d’ali.
Quello che rimane di My Generation, oltre all’immenso lavoro di raccolta di immagini inedite e di musica iconica, è proprio la sensazione di respirare un’atmosfera che non tornerà più, di una gioia di vivere mischiata alla consapevolezza di stare lottando per qualcosa di più grande di quanto non si potesse pensare e di cui, forse, neanche ci si rendeva pienamente conto.
L’insieme di tutti questi elementi, attentamente dosati e riportati in vita con una passione quasi maniacale, rendono il film un lavoro emozionante e sincero che non mancherà di farci sospirare e pensare, almeno ogni 10 minuti, che sì, non ci dispiacerebbe per niente poter vivere proprio lì, nella leggendaria Londra degli anni ’60.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.
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