Recensione di Coco, il nuovo film di animazione firmato Disney•Pixar al cinema dal 28 dicembre 2017.
E’ incredibile come le menti super immaginarie del team Pixar riescano sempre a ravvivare la loro ormai ultraventennale tradizione e a sorprenderci ogni volta come fosse la prima.
Quando nel 2015 uscì Inside Out, ultimo film da soggetto inedito, quella meravigliosa lezione pedagogica mascherata da favola (o viceversa) era stato un apice così lampante da rendere molto complessi gli step successivi del percorso Pixar; i seguenti sequel (Alla Ricerca Di Dory e Cars 3) sembravano confermare e suggerire una comprensibile frenata, all’insegna dell’autoreferenzialità, dell’inarrestabile macchina dei sogni californiana.
A smentire queste teorie arriva Coco, un film che mutua un 20% di linearità classica Disney al servizio di un nuovo, fantasiosissimo universo animato: quello del Giorno Delle Anime messicano, festività dedicata ai cari defunti, occasione per tributare doni e memoria a chi non c’è più.
In quel giorno il giovanissimo Miguel Rivera scopre il costo di abbandonare la sua famiglia, di fiera tradizione calzolaia, per seguire il suo cocciuto sogno di musicista, professione che risveglia in bisnonna Coco e nei suoi familiari un passato di note dolenti.
Un viaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra i parenti terreni di Miguel e i suoi antenati, a ritmo mariachi, per raccontare ai piccoli e ricordare ai cresciuti l’importanza di credere in un sogno, di cogliere l’attimo e di non dimenticare mai da quale pianta siamo sbocciati.
E’ una nuova vittoria Pixar, sotto la regia di Lee Unkrich (Toy Story 3) e Adrian Molina, senza l’imprevedibilità metafisica di Up, Wall-E o appunto Inside Out, ma con la solita, scintillante creatività.
L’espediente per sprigionare le potenzialità dei Lasseter boys è la sovrapposizione tra piano terreno e ultraterreno, che diventano due facce complementari – ma non così diverse – dell’esistenza. Con romanticismo, delicatezza e pure un sacco di divertimento, Coco pigia tasti complessi e suona un inno al ricordo, al potere della musica e ad una morte che tutto sommato non è la fine (nel doppiaggio italiano, una traduzione “perbene” confonde un po’ questo snodo cruciale).
E quale migliore cornice del Día de los Muertos, caotica celebrazione in maschera, dove spiritualità, colore e fuochi artificiali convergono nella visione dell’aldilà più scoppiettante e folcloristica del mondo?
Nell’usuale parata di personaggi da amare e comprare in forma peluchosa, il bastardino randagio Dante e una Frida Khalo pelle e ossa (esilarante la parodia delle performance artistiche), mentre il mascalzone Hector, voce e fattezze alla Gael Garcìa Bernal, ruba cuori e diventa il fulcro della storia; che, con un paio di colpi di scena ben assestati in momenti cruciali, fa correre Coco liscio e rapidissimo verso l’inevitabile groppo in gola.
Tutto torna, al punto che anche le musiche – a cui spesso sono allergico – fanno centro: Un Poco Loco si farà cantare per settimane, alla faccia dei talent che pure compaiono in chiave ironica negli angoli del film.
Luci fosforescenti illuminano mirabilmente il nero dell’oltretomba, la sceneggiatura fa lo stesso con uscite memorabili (“Non sono mica morto ieri!”, dice Hector a chi vuole fregarlo).
Coco è la soluzione, divertente, commovente ed educativa, per passare le feste indenni e al cinema. Con o senza marmocchi.
Voto: 8/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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