Revolution, rivoluzione. Spesso si pensa che il titolo di una mostra, di un libro, di una poesia sia solo un orpello, la ciliegina sulla torta. Estetico ma non utile né necessario.

Ma non è così. Il titolo è importante. È ciò che ti raggiunge per primo, che ti stuzzica, che ti attrae, che ti alletta. Funge da invito e da lettera di presentazione insieme. Sulla copertina di un libro stimola la curiosità dell’avventore, sul cartellone di una mostra cattura lo sguardo, di sfuggita, mentre si passeggia in città o si aspetta la metro. E, anche se non sembra, dice moltissimo sull’opera.

È per questo che apprezzo enormemente quando mi rendo conto che ciò che il titolo suggerisce è poi pienamente concretizzato nel contenuto dell’iniziativa. Ha su di me il medesimo, piacevole effetto di una bella promessa mantenuta.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

Ma dicevo Revolution, rivoluzione. Revolution è una parola che impegna libertà. Non la suggerisce: la urla al vento umido che dall’Inghilterra della fine degli anni Sessanta vola sopra la Manica per arrivare in Francia e poi scendere, allargarsi e diffondersi in tutto il vecchio continente. Revolution fa rima con cambiamento, con diritti umani, con multiculturalismo e politica neoliberale. E poi fa eco. Un’eco che si diffonde forte, rampante, energica e rimbombante come la musica dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who. Un’eco che rimbalza nel boom scientifico, nella moda, nella fotografia, nell’arte in generale.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

Ecco qual è la promessa di un titolo come Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, dai Beatles a Woodstock. E in cosa si concretizza? Nella mostra colorata, allegra e psichedelica allestita in uno degli edifici della Fabbrica del Vapore. La sensazione è quella di un tuffo nel passato ormai mitico degli anni a cavallo il 1960 e il 1970. Milleottocentoventisei giorni raccontati tramite un percorso esperienziale al cui centro nevralgico risuona la musica. La musica riempie ogni cosa. L’aria, i polmoni, gli oggetti, le stanze. Infonde calore, richiama alla vita, racconta storie. Accompagna. Mi riecheggia nelle orecchie così allegra, seguendo ogni mio movimento, cambiando registro ad ogni stanza – meraviglioso gioco di sound experience ottenuto con semplici audio guide che non parlano: cantano, suonano e così facendo narrano in una maniera perfettamente affine al mood della mostra.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

Cammino e vedo il benessere, l’espansione edilizia, il consumismo crescere con le immagini di Blow Up negli occhi e i Beach Boys nelle orecchie. Vedo Londra mentre viene ribattezzata dal Times “the swing city”, e quei suoi nuovi negozi di moda in cui tutti i giovani artisti hanno trovato una casa. Intorno fotografie di Twiggy “il grissino”, di Mary Quant con la sua audacissima minigonna. Copertine di dischi e poster che inneggiano alla solidarietà, al pacifismo, alla libertà sessuale. LP, riviste d’arte e opere di Yoko Ono.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

Vestiti, tanti, colorati, in materiali ecocompatibili. Frange, pois, opali. Linee, quante linee. Contrasti luminosissimi. Sembra quasi un sogno frutto di un gran bisogno e di una sperimentazione continua. Un viaggio.

Altro ambiente, altra canzone. John Lennon e la diffusione della TV. Una finestra sul mondo che per la prima volta racconta la guerra del Vietnam, l’atterraggio dell’uomo sulla luna. Le Esposizioni Universali, simbolo di una nuova visione modernista del mondo. All you need is love. La lingua sfacciata dei Rolling Stones.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

E ancora costumi, design, una stampa di Mucha e poco oltre la Globe Chair di Eero Aarnio. Uno dei primi Mac di Steve Job: “Io sono cresciuto in un’epoca magica. La nostra coscienza è stata aumentata dallo Zen e anche dall’LSD, che fu per me un’esperienza profonda, una delle più importanti della mia vita”. La filosofia di tutta l’epoca. Ragazze bianche tra le braccia di ragazzi neri. Un grande, verde prato con tanti cuscini e teli colorati. Milioni di persone raggruppate in un unico coro: Woodstock.

Rivoluzione, libertà, amore, gioventù, amicizia, ma anche una forte preoccupazione per il futuro. Perché gli anni della moda, delle musiche, della droga, dei festival sfrenati e delle comunità alternative sono anche gli anni dell’assassinio di J. F. Kennedy e Che Guevara. E della morte di papa Giovanni, e della guerra in Vietnam.

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

“Questa è una mostra su una delle cose più fragili e allo stesso tempo più resistenti e durature che esistano sulla faccia di questo pianeta: un’idea. L’idea di rivoluzione”.

E vale sempre la pena quando si racconta un’idea.

Federica Musto

una delle opere in mostra a Revolution - Photo © Federica Musto

INFORMAZIONI UTILI
Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, dai Beatles a Woodstock

Fabbrica del Vapore
Fino al 4 aprile 2018
www.mostrarevolution.it

La mostra è prodotta da AVATAR – MondoMostre Skira
Catalogo a cura di Skira Editore