Recensione del L’insulto, il film di Ziad Doueiri in anteprima al festival di Venezia e nei cinema dal 6 dicembre 2017.
Toni e Yasser sono due brave persone. Entrambi sono molto scrupolosi nel lavoro e innamorati delle loro mogli. Sono anche entrambi inclini a perdere le staffe, a dire cose di cui poi, in circostanze normali, si pentirebbero. Quello che complica le cose è che Toni è cristiano e Yasser è palestinese, ed entrambi vivono nel Libano di oggi, un paese che stenta ancora a fare i conti con un passato sanguinoso.
Il loro litigio per motivi banali diventerà quindi una questione di stato, ben più ampia della loro volontà. Loro che si sarebbero accontentati di semplici e reciproche scuse, si trovano manipolati dai media, dalla politica, dai loro stessi avvocati, per questioni che con il loro litigio hanno poco a che fare.
Parallelamente alla riesumazione della vicenda politica e storica, emergeranno pian piano anche le loro vicende personali, condizionate dalla Storia. Sarà un’occasione di crescita emotiva per entrambi, per cercare di superare i propri fantasmi, come auspicio a una riconciliazione ben più ampia.
L’insulto nasce da una vicenda molto simile che ha coinvolto il regista Ziad Doueiri, il quale ha pensato che, portata a estreme conseguenze, fosse del buon materiale per un film.
La credibilità della catena parossistica di eventi che si scatenano dal litigio si basa essenzialmente sulla bravura dei due interpreti Adel Karam (Toni) e Kamel El Basha (Yasser), ma l’intero cast non demerita, anzi è decisamente raro trovare un simile livello anche in ruoli “minori”.
Da una vicenda personale il film arriva al legal drama con grande abilità, con momenti di sia grande tensione che di humor intelligente. Quando il quadro si amplia, la vicenda mostra alcune scollature, alcuni passaggi enfatici che stonano con il senso della misura dei primi atti. Il finale poi rischia di cancellare tutta la soddisfazione per aver visto un film ben allestito e ben recitato.
Tuttavia la vicenda umana è ben chiara, e decisamente inopinabile. Ci sono due persone dal forte carattere, decise, anche a causa dei fantasmi del proprio passato, a non cedere di un millimetro rispetto all’altro. Due zucconi senza appello che farebbero meglio a contare fino a 10 prima di parlare o agire. Peccato che le mogli, le uniche dotate di buon senso in questa assurda vicenda, non vengano ascoltate.
L’analogia con la vicenda storica invece necessita di uno sguardo più attento se, come ricorda l’avviso all’inizio, i punti di vista del film non rappresentano alcuna posizione ufficiale.
D’altra parte, a ben guardare, non sembra affatto che Doueiri porti avanti alcuna tesi preconcetta. Piuttosto pone più domande che risposte.
Centrale è la questione che non si possa e non si debba stabilire una graduatoria della sofferenza e della persecuzione, altrimenti quelle che si rischia di combattere sono guerre tra poveri. Un’immagine che nella nostra letteratura è ben espressa dai famosi capponi di Renzo nei Promessi Sposi di Manzoni.
Resa palese nel momento in cui ad alti livelli politici si cerca di manipolare i due contendenti. La loro rivolta, il loro rifiuto di farsi manipolare, preludio al momento in cui invece umanamente si avvicineranno, è un avviso a tutti noi: non è il nostro prossimo il vero nemico, bensì chi cerca in ogni modo di non farci pensare con la nostra testa.
Un film da vedere, per riflettere.
Emanuele Manco
Matematico prestato all’informatica, giornalista pubblicista, curatore della webzine amica FantasyMagazine.it e autore di racconti. Siamo convinti che scrivendo di supereroi ne abbia acquisito i poteri fantastici e siamo felici di averlo con noi più o meno ogni cambio di stagione.
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