Huppert e Trintignant in Happy End di Michael Haneke

“Tutto intorno il Mondo e noi in mezzo, ciechi.” Così il regista presenta il suo film, nelle sale italiane dal 30 novembre.

Poster di Happy End di Michael Haneke

Qui sopra il poster di Happy End di Michael Haneke; anzi, due. Quella a sinistra è la locandina italiana, un fotogramma dagli ultimi 10 minuti del film che ricorda un’inquadratura di tanti film di Scola o Monicelli: caldi (e a dir poco incongrui) colori mediterranei a sfondo di una famiglia vestita a festa al tavolo di un ristorante, in apparenza gioiosamente riunita nell’auspicato happy end della storia. Quella a destra è invece la locandina francese e internazionale, nei gelidi colori della Manica e molto più vicina allo spirito del film: e notate i particolari? In basso i pulsanti bianco e rosso, in alto le cifre di un minutaggio: esatto, è un fotogramma dall’ultima scena del film, realizzata con uno smartphone.

Come in un cerchio, anche le primissime scene sono filmate con uno smartphone, e dalla stessa autrice: la tredicenne Eve (Fantine Harduin) lo usa come diario e per filmare di nascosto sua madre. La detesta, non sopporta le sue “lagne”, una depressione – iniziata tanti anni prima, alla morte di un figlio di 5 anni, e peggiorata dopo la separazione – che cura con i farmaci e più spesso con i superalcolici. E non si dispiace più di tanto quando la madre va in overdose e viene ricoverata in coma: vuol dire che passerà qualche giorno con il padre, la sua nuova moglie e il suo nuovo fratellino. La stessa indifferenza mostra quando, alla morte della madre, deve lasciare definitivamente la casa, messa in vendita, in cui ha vissuto tutta la sua giovane vita.

Jean-Louis Trintignant e Fantine Harduin in Happy End di Michael Haneke © 2017 – Sony Pictures Classics

La famiglia vive a Calais sotto lo stesso tetto, la lussuosa villa del patriarca Georges Laurent (Jean-Louis Trintignant), ottantacinquenne ex imprenditore edile, senile solo quando gli fa comodo, che mal tollera l’inattività della pensione e aspetta soltanto la morte, al punto di rivolgersi (inutilmente) a vecchi amici e persino a perfetti sconosciuti per essere aiutato a farla finita.

Già da alcuni anni ha ceduto le redini della ditta alle capaci mani della figlia Anne (Isabelle Huppert), pragmatica fino alla spregiudicatezza. E’ fidanzata con il banchiere inglese Lawrence Bradshow (Toby Jones), che ha conosciuto quando cercava un finanziamento per espandere l’azienda. Anne tenta senza grande successo di coinvolgere nel suo lavoro il figlio Pierre (Franz Ragowski), il quale non mostra alcun interesse ad ereditare un giorno l’impresa di famiglia e a tenere alto il nome dei Laurent.

Suo fratello Thomas (Mathieu Kassovitz), il padre di Eve, ha accolto la figlia per puro senso del dovere. Come tutti i medici è un uomo molto occupato ma ha l’aria di non rimpiangere più di tanto le ore rubate alla moglie Anaïs e al loro bimbetto: preferisce trascorrere le serate chattando con l’amante.

Isabelle Huppert e Toby Jones in Happy End di Michael Haneke © 2017 – Sony Pictures Classics

Non c’è mai molto da ridere con i film di Michael Haneke; già era perversamente ironico il titolo del suo Funny Games, eppure, nonostante l’atmosfera in Happy End sia fin più gelida del solito, riesce ad essere a tratti oscuramente divertente. Siamo davanti ad una nuova – eppure indispensabile – sarcastica variazione sul tema della irreparabile devianza di una famiglia borghese, qui incapsulata più che mai nei riti obbligatori dell’élite. E’ un film sull’amoralità del capitalismo e della ricchezza occidentale, tramandata come un gene cattivo attraverso le generazioni. E i protagonisti portano tutti delle maschere di indifferenza, dietro cui si nascondono più o meno oscuri segreti.

C’è l’adultero Thomas, incapace di amare eppure alle prese con l’ennesimo, instabile legame sentimentale. L’enigmatica Anne, del cui passato non sappiamo nulla: assistiamo soprattutto alla sua efficientissima vita professionale, dove un morto per un crollo in cantiere è solo una seccatura, e neppure nei momenti di intimità con il figlio e con il fidanzato mostra un minimo di passione. Il figlio di Anne, a dir poco fuori di testa, e la giovane Eva, che sembra portare il peso di un futuro disperato sulle sue spalle minute. Il vecchio Georges intuisce nella giovanissima nipote la sua medesima capacità di patologica e indifferente crudeltà, un’ereditarietà deviata che solo lui è in grado di apprezzare.

Franz Ragowski e Mathieu Kassovitz in Happy End di Michael Haneke © 2017 – Sony Pictures Classics

Davanti a tanta, pessimistica desolazione il regista sembra voler mettere di proposito in difficoltà lo spettatore: non solo i vistosi “buchi” nelle biografie dei personaggi, in alcune scene la macchina da presa si allontana da loro e noi non riusciamo ad ascoltarne i dialoghi, possiamo solo immaginarli. Quasi a voler dire: non importa, dato che siamo così vicini alla fine.

L’ambientazione a Calais, sede di uno dei campi profughi più grandi d’Europa, non è casuale. Happy End non è certo un film sulla crisi migratoria, ma due scene chiave che coinvolgono dei rifugiati mettono in evidenza le disuguaglianze che hanno permesso alla famiglia e ai suoi pari di prosperare.

Non ho ancora detto niente degli attori? Superbi, tutti, e stupefacente Fantine Harduin, tredicenne ma già femme fatale, una Isabelle Huppert in miniatura di sicuro avvenire.

Stimolante, provocatorio, coinvolgente. Voto: 8

Marina Pesavento

 

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