Recensione di Borg McEnroe, il film con Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf nei cinema dal 9 novembre 2017.
Il 5 luglio del 1980, sullo storico campo d’erba di Wimbledon, Londra, venne scritta la pagina più indimenticabile della storia del tennis: l’occasione era la finale del torneo più prestigioso del mondo, i protagonisti due campioni diametralmente opposti per carattere e carriera, che diedero vita all’incontro del secolo.
Da un lato c’era lo svedese Björn Borg, glaciale nel portamento e nelle reazioni, numero uno della classifica mondiale e già vincitore di quattro edizioni dell’ambito trofeo, dall’altro l’astro nascente John McEnroe, newyorkese ribelle ed iracondo, talentuoso ma fino a quel momento più celebre per le sue reazioni sgangherate che per i risultati ottenuti.
Il match rivive quasi quarant’anni dopo sul grande schermo con Borg McEnroe, diventando il sostanzioso epilogo di un racconto che si getta a capofitto nelle infanzie, nella vita sportiva e familiare, nei sentimenti manifesti e privati dei due antitetici protagonisti.
Complice la produzione scandinava, che affida la regia al danese Janus Metz, il film diventa per lunghi tratti “Borg Borg” anziché “Borg McEnroe”, considerando quanto prediliga e si focalizzi sulla genesi e sui turbamenti del tennista svedese. Il quale, interpretato dal bravo connazionale Sverrir Gudnason, svela nello “spogliatoio” un’inflessibilità emotiva che è in realtà solo una facciata volta a coprire la paura del declino, del nuovo che (sopr)avanza e il logorio di una carriera nata precocemente e che ha fagocitato tutto il resto.
Apparentemente dunque, niente in comune alla rockstar in pantaloncini McEnroe (Shia LaBeouf), il cui edonismo extra-campo, le bravate e la corte di “groupies” sembrano rivelare tutto fuorché pressione o terrore.
Ad unire i due mostri sacri dello “sport per gentiluomini” non sarà invece solo la leggendaria partita di Wimbledon, ma anche qualche strano risvolto e somiglianze che il film rivela, insieme ad un’improbabile amicizia che prenderà corpo proprio dopo l’incontro.
Il film “parallelizza” infatti, le due vite dedicate (e sacrificate) all’eccellenza sportiva, regalando dei bei ritratti di chi invece fa da riflesso a fama e successo, come la signora Borg o il suo allenatore di sempre Bergelin (Stellan Skarsgård).
E lo fa discretamente, regalando una narrazione ritmata ed avvincente anche a chi, come me, non conosce neanche le regole base del tennis. Come accadde qualche anno fa per Rush di Ron Howard, Borg McEnroe presenta una storia accorata e metodica per tutti, piuttosto che una minuziosa biografia per i maniaci settoriali.
Scelta un po’ pigra ma tutto sommato funzionale ai più, ed il bilancio sui titoli di coda (e a giudicare dal trionfo a Roma 2017) pare nel complesso positivo e gratificante, al netto di qualche “non detto” di troppo sul versante McEnroe (che meriterebbe un film biografico a parte) e tempistiche troppo succinte per poter redigere un vero manifesto del sacrificio sportivo, dell’ascesa e del declino, di come nasce e come viene plasmato un Campione.
Voto: 6,5/10
Luca Zanovello
n.d.r. Borg McEnroe aveva aperto Toronto 2017, qui il nostro resoconto della conferenza stampa di settembre
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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