Recensione di Good Time, il film dei fratelli Safdie in Concorso a Cannes 2017, nelle sale italiane dal 26/ 31 ottobre*.
Inizio con un disclaimer: quanto sbandierato sul manifesto del film non corrisponde in alcun modo al pensiero di chi scrive. Ok, il primo sassolino me lo sono tolto, ora vi racconto come stanno le cose.
Il trentenne Nikolas Nikas è un povero tontolone: è un ragazzone di buon carattere ma si spaventa facilmente, ha difficoltà ad esprimersi perché, oltre ad avere un palese ritardo mentale, è pure sordo (porta un apparecchio acustico). Ma è seguito con affetto da una nonna greca che non ha mai imparato l’inglese e da un terapista competente in un centro specializzato. Centro da cui lo trascina via, sostenendo che gli fanno solo perdere del tempo, il fratello di poco maggiore Constantine, detto Connie: ha bisogno di lui, indovinate? per una rapina. Indossano due maschere di gomma da Mike Tyson e ampie tute da manutenzione stradale sopra gli abiti ed entrano in una banca del Queens. La cassiera, alla vista del loro biglietto intimidatorio, come da regolamento consegna tutto quello che ha in cassa. Usciti, i due si liberano di maschere e tute e raggiungono l’auto di un palo che li attendeva per la fuga.
Ma evidentemente qui nessuno segue i canali tv specializzati in polizieschi, o saprebbero della mazzetta esplosiva: che infatti scoppia dopo pochi minuti, provocando l’uscita di strada dell’auto, mentre una nuvola di vernice li tinge di fuxia dalla testa ai piedi, loro e le banconote. I fratelli (più nessuna notizia dell’autista) si rifugiano in un bagno e riescono a ripulirsi, ma la polizia, allertata, li ha ormai circondati. Connie riesce a fuggire, non il povero, terrorizzato Nick.
Connie, pieno di rimorsi, non se la sente di lasciare suo fratello una notte a Rikers e si rivolge ad un garante per le cauzioni, che intanto si trattiene tutte le banconote frutto della rapina, per la maggior parte inutilizzabili. Da quel momento Connie si sbatte per tutta la città per raggranellare i 10.000 dollari mancanti. Si rivolge per un “prestito” a una sua amante, una ricca strafattona cinquantenne, a cui però la madre ha pensato bene di far bloccare le carte di credito. Viene poi a sapere che Nick è stato picchiato dagli altri reclusi ed è ora ricoverato nel settore carcerario di un ospedale. Ideona: basta farlo evadere! Ma… E siamo a meno di mezz’ora.
Good Time è stato presentato in concorso per la Palma d’Oro a Cannes 2017 e ha un punteggio di 89/100 su Rotten Tomatoes! Quando ho iniziato a vederlo decisamente mi aspettavo molto di più da questo film dei fratelli newyorkesi Ben e Joshua Safdie, di cui all’epoca del Festival avevo letto su di un sito italiano la definizione “in puro stile Walter Hill”. Ma non bastano una New York notturna e dei disperati che la percorrono a rompicollo, oltre a – quella sì – una bella colonna sonora, a farne un nuovo “Guerrieri della Notte”.
Giunti al loro quinto lungometraggio, i Safdie Brothers – che non si limitano a firmare la regia: Joshua è co-autore della strampalata sceneggiatura e del concitato montaggio, mentre Benny interpreta Nick in modo più che convincente – anche questa volta hanno realizzato una da loro stessi definita “opera di strada”, mostrandoci una città buia e sporca, “popolata da emarginati, sociopatici, criminali, drogati, fannulloni e perdenti”. E anche da deficienti, dico io: perché qualcuno l’avrà anche trovato divertente, ma proprio non riesco vedere che c’è di buffo in gente perennemente tanto fatta e/o ubriaca da non riuscire a ragionare o progettare, ma solo a far danni. Gente che riconosce esclusivamente la via “facile” per fare soldi, ma che è evidentemente troppo stupida anche per fare decentemente il criminale. Ma si può mai nascondere un bottino ed essere talmente “fuori” da non ricordarsi dove? Ecco, dalla tentata evasione dall’ospedale in poi, quando Connie si trova un altro socio provvisorio, il livello scende a “Gianni e Pinotto nel Queens”.
Alla fine – paradossalmente, visto che dovrebbe essere un film “contro” – rispetto a questi anti-eroi dei miei stivali a fare una buona figura sono le persone comuni, gentili e generose, gli efficientissimi poliziotti, gli affettuosi addetti dei servizi sociali.
Quanto al protagonista: altro che fratello amorevole, come più di uno l’ha definito, Connie è solo un porco sfruttatore, del fratello che pende dalle sue labbra, della sua donna drogata, poi di una ragazzina nera che anche lei non è esattamente un genio. Robert Pattinson è stavolta un po’ meno catatonico del solito, oltre a sgranare gli occhioni sfodera spesso un indecifrabile ghigno sbilenco multiuso, che forse vorrebbe essere seducente ma boh. L’unica a cascarci è la ricca carampana sua amante, una come sempre ottima Jennifer Jason Leigh che però, con i suoi 5 o 6 minuti di scena, forse non meritava il titolo sul manifesto. Ma bisogna pur attirare il pubblico.
Qualcos’altro di buono, a cercare bene, in Good Time c’è: la fotografia sporca il giusto di Sean Price Williams e in cima a tutto la notevolissima colonna sonora giustamente premiata a Cannes, firmata da Daniel Lopatin sotto lo pseudonimo di Oneohtrix Point Never (trovate molti brani sul suo canale personale di YouTube).
Per il resto… fossi in voi aspetterei il primo passaggio in tv. Voto: 3/10
Marina Pesavento
∗ Nota: il distributore italiano in un post Facebook del 26.10 comunica il posticipo al 31.10
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.