Recensione di Dove non ho mai abitato, il nuovo film di Paolo Franchi al cinema dal 12 ottobre 2017.
Francesca ha 50 anni e una vita tranquilla da borghese benestante. Si divide tra Parigi, la metropoli in cui vive con marito e figlia adolescente, e Torino, sua città natale dove negli ultimi anni si reca sempre meno.
L’improvviso infortunio ad una gamba dell’anziano genitore, il notissimo architetto Manfredi, la porta a dover trascorrere nella casa di famiglia, ormai piena solo di mobili di design e ricordi di un passato lontano, molto più tempo di quanto vorrebbe.
Il padre, che non le ha mai perdonato il fatto di non aver praticato la professione dopo i brillanti studi, prende la palla al balzo e le assegna un progetto di ristrutturazione di una villa affiancandola al suo fidato collaboratore di studio, Massimo, un 50enne tanto fascinoso e sicuro di sé quanto cinico e refrattario alle relazioni serie.
Nasce quindi una collaborazione forzata e non voluta da entrambi: non da Francesca che non ha mai sentito il desiderio di seguire il “sacro fuoco” dell’architettura, non da Massimo che mal tollera questa intrusione dall’alto.
Quel che ne consegue sarà però un percorso in cui i due, lontani anni luce l’uno dall’altra, cominceranno a conoscersi, a scoprirsi, a far cadere quelle barriere innalzate negli anni per proteggersi da un’esistenza che per entrambi non è andata come avrebbero voluto.
I successivi incontri lavorativi diventano ben presto il loro rifugio, lo spazio in cui possono essere loro stessi senza maschere, corazze e timori, soprattutto in cui si concedono di non pensare. Anche la casa che seguono diventa la metafora di quello che non hanno mai avuto, di quello che continuano a creare per gli altri ma non per sé, ovvero un porto sicuro fatto di affetti e di amori sinceri che invece hanno sempre bypassato.
Dove non ho mai abitato è un film che coinvolge da subito e che trascina in un alternarsi di emozioni che vanno dai sorrisi al pianto come in pochi altri casi. I due protagonisti, Emanuelle Devos e Fabrizio Gifuni, sono straordinari nell’interpretare due personaggi che si rivelano nei piccoli gesti, nelle parole sussurrate, nel non detto. I loro sentimenti reciproci si percepiscono in un lento ma inevitabile crescendo che li porta ad avvicinarsi e a dare la sensazione di non poter più fare a meno di questi pochi attimi rubati alla loro quotidianità. Il vedersi per seguire gli ormai quasi terminati lavori di una casa creata ad hoc per una coppia di neosposi innamorati è il momento in cui torna a splendere il sole di una città che li ha ingrigiti nell’anima.
Il regista, Paolo Franchi, riesce a costruire una storia fatta di pochi elementi ma chiari e che vanno dritti al punto. Tutto è organizzato affinché nulla sia superfluo, non un’inquadratura in più, non una battuta, non una location.
Ogni elemento è studiato e funzionale agli eventi ed all’empatia che si vuol far provare allo spettatore il quale, dall’inizio alla fine, non può che sentirsi partecipe del racconto. Perché, ciò che si vede sullo schermo è, in fondo, anche la nostra vita.
Negli occhi dei protagonisti, nei loro imbarazzi e nelle loro lacrime, ma anche nei loro sorrisi e negli improvvisi momenti di felicità, ci siamo tutti noi e tutte le nostre scelte.
Guardare Dove non ho mai abitato è un po’ come guardarci allo specchio, uno specchio che ci racconta quello che potremmo essere se chiudessimo le porte al vero amore, che sia una persona o una passione, e come sarebbe la nostra vita se ci arrendessimo troppo presto. Da non perdere.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.
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