L’Uomo Di Neve – Recensione del nuovo film con Michael Fassbender

Dal regista di Lasciami Entrare, un thriller da “fatemi uscire”: L’Uomo Di Neve, al cinema dal 12 ottobre 2017. 

il poster italiano del film L’Uomo di Neve

Harry Hole (Michael Fassbender) è un detective della polizia di Oslo.
Una volta era il più brillante del giro, ma oggi il suo sguardo vacuo e malinconico è concentrato più sulla bottiglia che sulla scrivania. Senza più una donna, perché con Rakel (Charlotte Gainsbourg) non ha funzionato, senza fissa dimora e soprattutto, complice la pacifica capitale norvegese, senza un caso avvincente per le mani.

Fino a quando la scomparsa di alcune giovani donne, in concomitanza con abbondanti nevicate, sembra suggerire l’ipotesi di un macabro e provocatorio serial killer con la passione per i pupazzi di neve, che ama disseminare indizi e sembra conoscere personalmente l’uomo.
Hole si rimette in sesto e sulle tracce dell’assassino, insieme alla giovane collega Katrine (Rebecca Ferguson), prima che il sangue torni ad impregnare i candidi panorami della città.

Rebecca Ferguson e Michael Fassbender nel film L’Uomo di Neve © Universal Pictures

Settimo capitolo della serie letteraria dedicata alle indagini di Harry Hole, che ha permesso allo scrittore norvegese Jo Nesbø di estinguere tutti i mutui a venire, il thriller L’Uomo Di Neve diventa film esattamente dieci anni dopo la sua uscita.
Lo fa con due benedizioni non da poco: la prima è la produzione di Martin Scorsese, la seconda è la conduzione di un bravo regista e bravissimo adattatore, scandinavo d.o.c., come Tomas Alfredson (suoi il cult vampirico Lasciami Entrare e il thriller di spionaggio La Talpa).
Se poi ci aggiungiamo il reclutamento di un cast eccezionale, che oltre al protagonista Fassbender snocciola fuoriclasse come J.K. Simmons, Toby Jones e Chloë Sevigny, qualche garanzia pensavamo di averla; tipo quella, per intenderci, che il thriller poliziesco dedicato allo “snowman killer” potesse eludere la trappola del filmetto per famiglie, quello da prima serata su un canale generalista zeppo di pubblicità. Ci sbagliavamo.

L’Uomo Di Neve restituisce la storia di Nesbø (in verità, almeno nei fatti, neanche troppo elettrizzante o sorprendente) in maniera opaca, sfaticata e didascalica, assumendo scena dopo scena la forma di innocua e derivativa crime story.

Michael Fassbender nel film L’Uomo di Neve © Universal Pictures

Spesso un libro bestseller ha necessità e volontà di diventare un film blockbuster, che venga visto e capito da chiunque, non troppo cervellotico e tendenzialmente pop. Era quindi comprensibile che Alfredson non calcasse la mano sul macabro o sulla violenza, o che non si perdesse in momenti contemplativi, ma tra questa necessità e il risultato totalmente insapore del film ce ne passa…

E, oltre al piattume elettroencefalico del copione, altri incomprensibili limiti emergono: come personaggi malamente abbozzati – il disagio esistenziale di Hole su tutti – e agganciati a cliché che speravamo di esserci messi alle spalle, o frasi da b movie surgelato alla “l’assassino sta giocando con noi”, o ancora digressioni su famiglia, affetti e genitorialità che starebbero meglio dalla D’Urso che al cinema.

J.K. Simmons nel film L’Uomo di Neve © Universal Pictures

I nomi altisonanti del cast, come gli invitati a una festa dove nessuno balla e nessuno si diverte, sembrano dire “che ci faccio qui?”. Persino Fassbender, capace di ravvivare con le sue sole forze anche oscenità come Assassin’s Creed (2016), solleva bandiera bianca e, nel momento cruciale dell’indagine, si sdraia nel suo monolocale e ascolta vinili, fregandosene di quello che sarà.

Un po’ come noi di fronte a L’Uomo Di Neve, che non riserva sorprese o emozioni, solo omicidi allusi (con una CGI che nemmeno la Troma…), spiegoni, castighi innocui e lezioni evanescenti.
Rimedi casalinghi per guarire: Gone Girl (maledetto chi lo aveva sminuito), Stieg Larsson e Lasciami Entrare (per neve veramente inquietante).

Luca Zanovello

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