“L’Arcimboldo giapponese”. Quando ho sentito Rossella Menegazzo definire con queste parole uno dei più grandi artisti giapponesi, Utagawa Kuniyoshi, devo ammettere che mi è venuto un po’ da ridere. O da sorridere, per lo meno. Non che fosse una definizione buffa o poco lusinghiera, anzi. È che l’ho trovata talmente insolita, quasi dissonante, e senza afferrarne il motivo.
Ma poi ho capito. Ho capito che ad essere stuzzicata è stata la mia indole occidentale. Da ragazza europea, benché curiosa dell’arte di ogni genere, sono dotata – volente o nolente – di un’innata predisposizione, come di uno stampo, per cui vedo l’arte da un punto di vista prettamente occidentale. Apprezzo l’arte giapponese, la trovo estremamente delicata e aggraziata, ma sono come costretta a un pregiudizio (nel senso buono del termine). Platone parlava, a tal proposito, di una predisposizione dell’anima alla nascita, la quale può essere assimilata a una tavoletta di cera. Tale tavoletta, tuttavia, non è mai liscia, nemmeno al principio: nasciamo già tutti con una certa “impressione” nell’anima, data dalla nostra cultura.
E così, quando sento parlare di contatto tra culture e di influenze artistiche, da buona occidentale penso subito all’influsso che l’arte orientale ha avuto sugli artisti occidentali. Penso alle “cineserie” tanto in voga nel 700, al punto che ogni nobile che se lo potesse permettere creava nella propria casa una stanza interamente dedicata a queste “curiosità” provenienti da lontano. Penso alle stampe giapponesi che Van Gogh, Renoir e Monet avevano appeso negli studi e da cui attingevano a piè mani per spunti e innovazioni.
Ma la verità è che quando due culture si incontrano, l’influenza è reciproca. Quindi è vero che l’arte occidentale ha imparato molto dalle stampe giapponesi e cinesi, ma è ugualmente vero il contrario: anche l’arte orientale ha preso spunto, acquisito tecniche, colori, sguardi occidentali. Come la profondità e la prospettiva, per esempio. O le camere oscure.
E in questo Kuniyoshi è stato un grande maestro.
Si è affermato in Giappone alla fine del periodo Edo, ossia in pieno XIX secolo, quando artisti del calibro di Hiroshige e di Hokusai erano all’apice del loro successo. La forma artistica prediletta era la ukiyo-e, un tipo di stampa inizialmente monocroma e fatta solo d’inchiostro cinese, poi colorata a pennello e infine – al tempo di Kuniyoshi appunto – divenuta policroma e poco costosa, grazie alle nuove tecniche di stampa. Si trattava per lo più di paesaggi e tematiche cittadine: lottatori di sumo, cortigiane e attori famosi di ogni genere. Un’arte alla portata di chiunque, che potesse adornare tutte le case. È il mondo fluttuante della cultura orientale.
Ma le stampe di Kuniyoshi sono diverse. Noto qualche cosa di familiare, di conosciuto. Eccola lì: la chiara impronta occidentale, quell’influenza data dall’incontro tra culture avvenuto in epoca Edo. La tecnica grafica occidentale, le composizioni di grandi dimensioni – Kuniyoshi arriva ad unire anche sei fogli in un’unica stampa -, quel realismo penetrante, anche in presenza di soggetti assolutamente surreali. E poi i particolari, tutti quei dettagli minuziosi che riempiono lo spazio senza lasciare adito nemmeno al respiro. Una maniera che ho visto operare solo in Olanda in pieno 600.
Guerrieri, personaggi di favole e poemi, donne – eroine bellissime. Questi si, orientali fino al midollo. Ma anche paesaggi, giochi e parodie. E sono proprio questi ultimi a procurare a Kuniyoshi l’appellativo di “Arcimboldo del Giappone”: puzzle, mosaici di figure umane di ogni dimensione fatti di gatti, carpe, rane passeri e pesci rossi. Illusioni divertenti e giocose che non solo permettevano a Kuniyoshi di beffarsi della censura, ma costituivano un vero e proprio marchio di fabbrica capace di rendere unica e inimitabile la produzione di questo artista. Un artista che per primo è stato capace di unire tradizione e novità, orientale e occidentale, memoria e fantasia. Un artista visionario a cavallo – dei tempi, degli stili, delle culture.
L’Arcimboldo giapponese del mondo fluttuante.
Federica Musto
INFORMAZIONI UTILI
Kuniyoshi – Il visionario del mondo fluttuante
Milano, Museo della Permanente, via Filippo Turati 34
Fino al 28 gennaio 2018
La mostra è prodotta da MondoMostre Skira e curata da Rossella Menegazzo.
Immagini: Masao Takashima Collection. Si ringrazia l’ufficio stampa. Maggiori dettagli muovendo il cursore sulla singola foto.
La più giovane del gruppo, blogger appassionata d’arte (suo è il sito A Spasso con Apollo e Dionisio), instancabile frequentatrice di gallerie e musei. Aspirante giornalista culturale, il suo stile fresco e sincero vi spingerà a scoprire più di una mostra.