Contrasti.

Varcare il portone d’ingresso, salire la bellissima, lussuosa scalinata, raggiungere la scura, austera e un po’ intimidatoria sala d’onore di Casa Bagatti Valsecchi. Sembra un tuffo in un altro tempo, in un’altra epoca. Sembra di tornare nel 500, o ancor prima, nel medioevo, al tempo di duelli ed eroiche gesta.

Lartigue Bagatti ValsecchiE tutto, dico tutto, ci si aspetterebbe, eccetto le foto sorridenti e familiari di Jacques Henri Lartigue.

E invece.

E invece per una sorta di prodigio dato dal contrasto, per la singolare situazione creata da ciò che filosofi come Didi-Huberman amano chiamare anacronismo, questo inaspettato incontro tra temporalità diverse, tra la solennità dell’ambiente e la gaiezza delle fotografie, dà vita come a una magia. In qualche modo l’imponenza delle sale esaltano la semplicità degli scatti, come uno scrigno prezioso foderato in velluto nero che dona luce a una piccola, diafana perla delicata.

Lartigue Bagatti ValsecchiMa veniamo alle foto. Pochi scatti, una trentina circa, appesi qua e là sulle pareti purpuree. Scene quotidiane, testimoni di una vita passata a inseguire la felicità. Testimonianza, per Lartigue, ha un significato molto particolare: la fotografia ha il preciso compito di fissare il ricordo, di tramandare una memoria. La fotografia per Lartigue non è (non solo e non principalmente) una forma d’arte – tanto che Lartigue si è sempre definito un pittore (mediocre, peraltro). E nemmeno un mezzo di sostentamento: un nobile rampollo d’inizio ‘900 non ha certo bisogno di un mestiere. La fotografia per Lartigue è lo strumento per annotare, catalogare come su un diario i momenti felici della propria vita: la via per non dimenticare. Un modo di fare, quasi un’ossessione: inizia da piccolissimo, a 7 anni, quando i genitori gli regalano il primo strumento fotografico. Comincia con l’immortalare i propri giocattoli. Poi la sua famiglia, le due donne, i suoi animali, gli sprazzi di vita che lo colpiscono camminando per la strada. E non solo fotografa: annota, disegna quelle stesse scene che ha catturato con l’obbiettivo, su un taccuino che si porta sempre dietro. “Metti che la foto viene male”.

Fotografie sorridenti e felici. Come se a questo mondo non esistessero problemi, difficoltà, dolore. Un minuzioso, continuo lavoro di montaggio, di costruzione di una vita fatta solo e soltanto di momenti gioiosi – gli unici che, per Latigue, valesse la pena di vivere. E se ciò voleva dire cancellare con un colpo di spugna i capitoli più tristi (e inevitabili) di una vita, così sia. 85 anni passati a immortalare la pura, semplice, quotidiana felicità composta dalle piccole cose. Senza mai smettere. Un sorriso, un attimo rubato all’intimità, il profilo di una donna colto per strada, l’eleganza contadina della biancheria stesa al vento.

Scivolando da una camera all’altra, come a sfogliare un album di famiglia: questa è la sensazione che mi resta addosso. Complice l’ambiente, l’allestimento, la selezione di fotografie. Sono fotografie belle, ariose, delicate. Con una grazia nella composizione che per Lartigue era profondamente naturale. Non c’è studio, non c’è citazione, non c’è “artisticità” nel senso tecnico del termine. Solo sguardo, memoria, ricordo. Solo Lartigue.

Ed è una delizia.

Federica Musto

Lartigue Bagatti ValsecchiINFORMAZIONI UTILI
Jacques Henri Lartigue fotografo – Il tempo ritrovato
Museo Bagatti Valsecchi
Fino al 26 novembre 2017
museobagattivalsecchi.org