La recensione in anteprima del film IT, l’horror con Bill Skarsgård tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, dal 19 ottobre al cinema.
27 anni. Tanti sono gli anni intercorsi tra l’adattamento televisivo (1990, Tommy Lee Wallace) e quello cinematografico di IT, romanzo di formativo e universale terrore scritto da Stephen King nel 1986.
27 anni come quelli che passano a Derry tra una disgrazia e l’altra. Ciclicamente, in quella cittadina del Maine l’orrore umano e quello soprannaturale si risvegliano da una sorta di letargo e insanguinano le vite dei suoi abitanti. Le cause, recondite ed ancestrali, risiedono nello spazio e sottoterra, negli uomini e nei mostri. Soprattutto si ridesta “IT”, entità che incarna un male puro e vecchio come lo stesso universo, vera enigmatica protagonista del lungo racconto del Maestro dell’orrore letterario.
Affamato di carne umana (preferibilmente infantile), It è male contagioso e multiforme, infettivo e inarrestabile per tutti gli abitanti di Derry, rassegnati ed allo stesso tempo alimentati dalla cecità malevola.
La resistenza può arrivare solo dalle vittime predestinate, un manipolo di sfigati ragazzini – i Losers – avvicinati da IT nella forma della paura più prototipica (l’orripilante clown Pennywise) e di quelle più intime e personali.
Quella dei Perdenti è una battaglia per la sopravvivenza, uno svezzamento a tutto tondo, vicina ai propri incubi di bambini e lontana dall’indifferente omertà adulta. In un’estate di metà anni ottanta, gli amici snidano e sfidano il cancro di Derry, prima di farsi una promessa che li legherà per sempre e che metterà forse fine al terrore, alla fanciullezza e all’innocenza.
E’ arduo, quasi impossibile, racchiudere in uno schermo (e in poche ore) tutti i fatti, le tematiche e le sfumature umane e formative delle 1200 pagine di IT, opera maestosa che, volendo semplificare, trova la triangolazione perfetta tra racconto horror, fantasy e di formazione.
E’ per questo che l’IT televisivo di Wallace si è dovuto accontentare del titolo di “film che ha traumatizzato i nati nell’80”, dell’exploit cult di Tim Curry nei panni di Pennywise e di un lascito di media portata sofferente di evidenti limiti contenutistici e, soprattutto, di carattere censorio.
Era lecito dunque provare un nuovo tentativo squisitamente cinematografico, anche se per sua stessa natura il talebano cineletterario, nel suo nido snobbone, sa sempre come contraddirsi: così, dopo aver passato 27 anni a criticare il primo adattamento del romanzo, alle prime notizie di un IT 2017 ha trasferito in men che non si dica il suo livore e la sua sfiducia dalla miniserie tv al film.
Ecco perché l’esaltante risultato della prima metà di IT fa godere doppiamente “noi che ci abbiamo creduto”.
I primi positivi segnali a riguardo erano trapelati, nei mesi scorsi, dai teaser e trailer di rito; certo, il Pennywise versione 2.0 interpretato dal giovane e androgino Bill Skarsgård (Atomica Bionda) sembrava sì un incubo, ma di CGI, però una fotografia tumefatta e qualche accenno alle scene “simbolo” del racconto parevano molto promettenti.
Nelle 2 ore e un quarto dirette poderosamente da Andy Muschietti (La Madre), le sensazioni positive ed i sogni bagnati dei fan diventano, per dirla à la Roberto Carlino, solide realtà.
E allora partiamo proprio dalla stupefacente fotografia calda e “retrò” del maestro coreano Chung-hoon Chung (che nel CV vanta anche un certo Old Boy), che abbraccia le dolorose vicende di Derry e dei suoi abitanti, le (dis)avventure dei Losers e le progressive, feroci apparizioni di It.
La fedeltà al romanzo va e viene, aumenta rispetto al suo predecessore ma tutto sommato ne tocca gli stessi passaggi: a cambiare e crescere, fragorosamente, sono invece l’intensità e la cattiveria dei momenti cruciali della storia.
IT restituisce l’atmosfera inumana di Derry, il suo nucleo pulsante e ribollente di negatività, indifferenza e violenza, le varie e terrificanti forme mutanti dell’entità, quest’ultima penalizzata in realtà solo in un esiguo numero di situazioni dagli effetti digitali.
Il Pennywise di Skarsgård non scimmiotta Curry, è meno giocherellone e sbracato, più subdolo e tentacolare; la caratterizzazione riesce nel complesso obiettivo di “astrarre” la sua creatura, di perdere forma tangibile e, con essa, diventare davvero un orrore inconcepibile, indescrivibile e dunque inafferrabile.
Parallelamente alle orripilanti verità che emergono dalle viscere di Derry, in superficie c’è la storia di sette bambini costretti a diventare grandi (questa volta, eccezionalmente, i piccoli protagonisti sanno pure recitare), alle prese con una preadolescenza vivida e tremendamente toccante, tra suggestioni di amicizia imperitura, olezzi pre-sessuali e musica new wave.
Piccole parentesi che fanno respirare da un senso di paura e negatività opprimente, ma che vi si amalgamano narrativamente alla perfezione.
Il rammarico è ancora una volta quello di non aver potuto toccare (inevitabilmente, vien da dire) alcune implicazioni più profonde e periferiche, la storia del mondo, del male e di Derry nelle sue pieghe più ataviche, una cosa che nemmeno un lungo ed emozionantissimo viaggio come quello del nuovo IT avrebbe saputo maneggiare con cura e restituire come si deve in modi e tempi.
Ora quella per la seconda e conclusiva parte (probabile uscita: 2019) è davvero una dolce attesa.
Voto: 8/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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