Lucio Fontana: l’arte del divertimento

Divertirsi. Spesso associamo le idee di arte, museo e polvere, giungendo alla conclusione che, sebbene interessante e istruttivo, il visitare una mostra sia necessariamente anche un po’ noioso.

Sbagliamo. Per quanto mi riguarda l’arte è divertente di per sè, basta solo affrontarla con il giusto mix di riguardo e filosofia. Poi ci sono dei casi particolari, quelli in cui sebbene l’aspettativa sia alta, l’esperienza riesce comunque a restituire qualcosa in più. Quei casi in cui esci dalla sala a tour finito e pensi : cavoli, wow. Rifacciamolo.

Lucio Fontana, Ambiente spaziale, 1967 [67 A2] – Foto: Federica Musto

Ecco, Ambienti/Environments, la nuova esposizione di Lucio Fontana all’Hangar Bicocca, è proprio uno di questi casi. Uno di quelli da cavoli, wow, rifacciamolo. Niente giri di parole: è proprio divertente. Primo, perché si sa, Fontana è sempre un po’ una garanzia. Milanese d’adozione (è nato in Argentina), inventa e teorizza il movimento artistico chiamato Spazialismo, e con questo rivoluziona il concetto d’arte a lui contemporaneo e futura. Niente più pittura scultura architettura, ma una forma d’arte che fonda queste tre categorie in un’opera “omnicomprensiva”, che coinvolga appieno lo spettatore. Anzi, che lo renda protagonista, che lo faccia sentire parte dell’azione. Nascono gli Ambienti spaziali, le opere meno note (non sono famosi quanto i Tagli o i Buchi) ma più sperimentali di Fontana.

Si tratta di opere talmente legate alle dimensioni di tempo e spazio, da essere effimere – costruite per esposizioni alla fine delle quali andavano distrutte – e da sentire il bisogno di abbandonare la mera fruizione passiva e obbligare lo spettatore a muoversi, guardare, toccare, sperimentare, vivere. Esserci. Ed ecco qui il secondo motivo di tanto entusiasmo: l’egocentrismo. Il mio, il tuo egocentrismo – quello dello spettatore – che viene stuzzicato, per cui ti senti fondamentale per la riuscita dell’opera stessa.

Lucio Fontana, L’Ambiente spaziale a luce rossa [67 A6] – Foto: Federica Musto

Un gande spazio in penombra – una delle navate dell’Hangar Bicocca – costellato da 9 costruzioni nere: degli ambienti, delle stanze all’apparenza inaccessibili come scrigni chiusi, in cui devi infilare prima il naso e poi anche tutto il resto per poterne scoprire i tesori. Una vera e propria caccia al tesoro di pacchetti regalo: il paese dei balocchi per la curiosità. A inizio e fine percorso due opere piene di luce, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano (1951) e Fonti di energia, soffitto al neon per “Italia 61” (1961), fanno da lampante contrasto al buio del locale, fungendo come da porte a una notte di sogni.

Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-1949 [48-49 A2] – Foto: Federica Musto

Primo ambiente: Ambiente spaziale a luce nera. Si tratta del primo Ambiente spaziale in assoluto realizzato da Fontana del 1949 ed esposto in quell’anno alla Galleria del Naviglio di Milano. La galleria – al tempo una delle più importanti gallerie d’arte contemporanea della città meneghina – era famosa per la propria scelta minimalista di esporre le opere in un ambiente asettico dalle pareti bianchissime, ma per l’occasione fu costretta a dipingere ogni superficie di nero e a sigillare ogni vetrata. Una strana, psichedelica struttura in cartapesta dalle forme vagamente biomorfe pendeva dal soffitto, dipinta con tinte fluorescenti che risplendevano nel buio totale grazie all’illuminazione a luce ultravioletta.

Uno spettacolo da Area 51.

Lucio Fontana, Ambiente spaziale in Documenta 4, a Kassel, 1968 [68 A2] – Foto: Federica Musto

I due scrigni successivi ricostruiscono degli ambienti che Fontana aveva ideato in collaborazione con l’architetto Nada Virgo nel ’64, in occasione della XIII Triennale di Milano. Il tema trattato è l’utopia. Scosto la pesante tenda nera ed entro in una stanza dal rosso accecante, con pareti curve specchiate e un morbido, peloso pavimento ondulato. Cammino, scalo, salgo la colina soffice. Picchio la testa sul soffitto e perdo l’equilibrio nella discesa. Non è andata benissimo, riproviamo. Giro su me stessa e ritento la scalata. Ancora prendo la rincorsa, salgo e di nuovo batto la testa per poi scivolare sul pendio e perdere ancora l’equilibrio. Seduta lì, in quell’irreale ambiente da peluche, scoppio a ridere. Mi diverto come una bambina. Ma devo uscire e lasciare spazio agli altri visitatori.

Gli scrigni si susseguono uno dopo l’altro e io quasi corro lungo il percorso, presa da un’irrefrenabile sete di curiosità. Buio, luci verdi. Buio, gomma, impronte mangiate sotto ai piedi. Buio, neon rosso su fondo rosa. Buio. Rosso, riflessi, labirinto. Buio. E poi bianco, accecante, e quel taglio, quel taglio messo lì sulla parete, come a ricordare “è tutta opera mia, Lucio Fontana”. Buio, neon.

Lucio Fontana, Fonti di energia, soffitto al neon per “Italia 61” (1961) – Foto: Federica Musto

Alla luce di quei neon verdi e azzurri che mi illuminano dall’alto, mi volto a guardare la sala buia. Vedo critici, giornalisti, fotografi, intellettuali – tutta la crème culturale che si incontra alle anteprime per la stampa – che ride passando da un cubo all’altro, da uno scrigno al successivo. Si divertono, si divertono tutti come bambini al parco giochi.

Altro che arte, museo, polvere. “Né pittura, né scultura, forma luminosa nello spazio – libertà emotiva allo spettatore”, promette Fontana. E tanto divertimento, che è una delle forme d’arte migliori.

Federica Musto

 

INFORMAZIONI UTILI
Lucio Fontana
Ambienti/Environments
Pirelli Hangar Bicocca
Fino al 25 febbraio 2018
sito web www.hangarbicocca.org
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