Mondo intrigante quello delle biblioteche. Prima di tutto per lo scopo primario dell’istituzione in sé: quello di collezionare e prestare libri, ossia storie, racconti e universi all’interno dei quali il lettore può immergersi, gratuitamente. Tante vite messe lì, a disposizione di tutti. Bellissimo.
Ma non è solo questo. Spesso le biblioteche diventano dei veri e propri luoghi di incontro, posti in cui le persone non solo leggono, studiano e riflettono, ma delle vere e proprie piazze nel senso originario del termine. Il corrispettivo moderno delle antiche agorà.
Il potere dei libri e della conoscenza.
Ma la verità è che perché una biblioteca divenga un luogo frequentato, utilizzato, vissuto dalla comunità, si rende necessaria un’organizzazione efficiente e un’istituzione che promuova il programma.
Lo spiega bene il celebre documentarista Frederick Wiseman nel suo ultimo lavoro: Ex libris, aggiudicandosi l’ambito premio FIPRESCI alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia appena conclusa. “La biblioteca è la più democratica delle istituzioni. Tutti sono i benvenuti e tutte le razze, etnie e classi sociali sono partecipanti attivi nella sua vita” commenta il regista. In particolare tale compito è svolto in maniera esemplare dalla New York Public Library: un complesso di 92 divisioni dissipate tra Bronx, Manhattan e Staten Island che oltre a proporsi come istituzione culturale con i suoi archivi di libri, film e collezioni d’arte, offre alla comunità diversi corsi sulle materie più disparate, incontri, conferenze e programmi educativi per adulti e ragazzi.
Il tutto è completamente gratuito, a disposizione. Finanziato a metà dalla città e a metà da privati facoltosi, quello della NY Public Library risulta davvero un sistema funzionante, forse – così sembrerebbe suggerire il film – una delle poche istituzioni culturali americane (se non l’unica) veramente pubbliche, per tutti.
Ma chi conosce Wiseman sa bene che a dispetto di un’apparenza in cui tutto sembra semplice ed efficiente, in cui il lato bello del mondo traspare come l’unico possibile, l’unico esistente; la realtà è spesso diversa. I documentari di Wiseman – il regista ne ha diretti ben 41 a partire dal 1967 – mostrano il volto migliore del mondo perché vogliono mostrare quel volto. Vogliono mostrare ciò che funziona, il lato buono dell’umanità e delle sue istituzioni. Ma questo significa anche che è stata adoperata una scelta: la scelta di mostrare il bene, nascondendo il male. Ciò che non funziona, ciò che stona all’interno della lineare, trasparente trama del film, viene eclissato, eliminato, tagliato. È un lavoro di taglia e cuci di cui spesso ci dimentichiamo, e che invece è presente, anzi, fondamentale, ricordare quando approcciamo un lungometraggio. Soprattutto quando si tratta di un documentario, il quale dall’alto del proprio titolo pretende di dire la verità nient’altro che la verità. Ma che resta sempre e comunque il prodotto di un lungo e attento lavoro di montaggio.
C’è poi un altro aspetto che vorrei sottolineare riguardo Ex Libris. L’obiettivo che il regista si proponeva di raggiungere è certamente stato ottenuto. Ma io, da osservatrice comune ed estranea, resto pienamente convinta che ci si sarebbe benissimo potuti arrivare anche nella metà del tempo. 197 minuti di documentario sono troppi, anche se magistralmente girati – non metto in dubbio la maestria di montaggio e fotografia. 197 minuti sono noiosi, infiniti, soporiferi. 197 minuti sono esagerati, anche per “il miglior mondo possibile”. Bisogna ricordarlo: dopotutto si tratta sempre di un film proiettato in una sala cinematografica buia.
Federica Musto
La più giovane del gruppo, blogger appassionata d’arte (suo è il sito A Spasso con Apollo e Dionisio), instancabile frequentatrice di gallerie e musei. Aspirante giornalista culturale, il suo stile fresco e sincero vi spingerà a scoprire più di una mostra.