Recensione di Dunkirk, il film con Tom Hardy e Mark Rylance al cinema dal 31 agosto 2017. 

il poster italiano del film Dunkirk

il poster italiano del film Dunkirk

Spiaggia di Dunkirk, Francia settentrionale, anno 1940. L’avanzata tedesca è inarrestabile e ha ormai ridotto all’osso e all’assedio le forze alleate insediate in quella zona.
Serviranno una strategia militare di raro ingegno e una strenua resistenza dei soldati inglesi, insieme a inaspettati soccorsi civili, per evacuare i superstiti e riportarli sull’isola britannica.
La visione Albionico-centrica dell’incredibile salvataggio di Dunkirk (o Dunkerque), nuova fatica dell’ormai consacratissimo Christopher Nolan, fa rivivere e pulsare una pagina di inventiva ed eroismo bellici, nel lembo di sabbia e oceano del paesino francese.

Se però pensate di essere di fronte alla solita, lineare lezioncina di Storia su grande schermo, siete fuori strada: Nolan, con Dunkirk, riesce a sorprendere ancora sostenitori e detrattori, con un’impressionante serie di elementi di bellezza e intensità, racchiusi e soprasseduti da una soluzione narrativa spiazzante e coinvolgente.
Il film si struttura con una linea temporale in tre frammenti “a matriosca”, tre situazioni contemporanee e concentriche che si sovrappongono, intrecciano e convergono nell’evacuazione portuale.

Tom Hardy in una scena del film Dunkirk © 2017 WARNER BROS. ENTERTAINMENT INC. ALL RIGHTS RESERVED

Tom Hardy in una scena del film Dunkirk © 2017 WARNER BROS. ENTERTAINMENT INC. ALL RIGHTS RESERVED

C’è così la settimana de “Il Molo” di un manipolo di malconci soldati britannici, tra cui Tommy (Fionn Whitehead) e Alex (il membro dei One Direction Harry Styles), che contiene il giorno di navigazione ne “Il Mare” del civile Mr Dawson (Mark Rylance) e del suo giovane equipaggio alla volta di Dunkirk, sopra le cui teste vive un’ora di angosciante combattimento ne “L’Aria” il pilota di Spitfire Farrier (Tom Hardy).
Tre lassi di tempo, tre ambienti che diventano inevitabilmente uno solo, man mano che la resa dei conti con l’invisibile nemico nazista si avvicina.

In cento minuti da infarto, più in apnea di quanto non siano i protagonisti del film in alcune memorabili scene subacquee, Dunkirk accarezza l’abusato titolo di capolavoro assoluto. Ottiene invece senza dubbio la palma di genere, perché mai in tempi recenti una rappresentazione storico-bellica ha avuto questa originalità, intensità e drammaticità: la sceneggiatura sontuosa, dello stesso Nolan, non lascia il tempo di riprendere ossigeno, lo fa per spingerci in un clima di terrore, multipericolo, dove ogni mossa, ogni passo possono essere fatali.

Fionn Whitehead in una scena del film Dunkirk © 2017 WARNER BROS. ENTERTAINMENT INC. ALL RIGHTS RESERVED

Fionn Whitehead in una scena del film Dunkirk © 2017 WARNER BROS. ENTERTAINMENT INC. ALL RIGHTS RESERVED

Non è un azzardo paragonare alcune logiche del film a quelle dell’horror, perché gli angosciosi rimbalzi temporali, fra terra, cielo e mare, sono frastornanti, terrificanti, frutto di un’eterna fuga e resistenza rispetto a un nemico immondo che si annida contemporaneamente ovunque e da nessuna parte.
Nello sviluppo dell’impresa, pompata col montaggio steroideo di Lee Smith (con Nolan da Batman Begins in poi), c’è tutto quello che il cinema dovrebbe essere: tecnica accademica, cuore accelerato, umani e disumani, eroi e mostri, memoria.

Quando l’impalcatura è granitica, ogni chiodo regge il quadro, ed ogni quadro sembra un Van Gogh: così gli attori bravi sembrano bravissimi (Rylance commovente, Hardy si prende il film mostrando solo gli occhi) e quelli normali fanno ugualmente bella figura, compreso l’improvvisato Styles.
Cillian Murphy si vede poco, ma fate estrema attenzione al suo personaggio: ambivalente, codardo e sfinito dal conflitto, ci ricorda – insieme al finale – che dalla guerra non si esce mai completamente vivi.
E meno male, perché nella sua tumultuosa bellezza Dunkirk rischia quasi di farci pentire di aver scelto il servizio civile.

Voto: 9/10

Luca Zanovello