Recensione di Gemini, la crime story con Zöe Kravitz in anteprima a Locarno 70.

Gemini (2017) è il nuovo lungometraggio diretto da Aaron Katz, vecchia conoscenza del Locarno Festival (suoi erano Cold Weather in Concorso nel 2010 e Land Ho! in Piazza Grande nel 2014). Quest’anno nessuna poesia on the road sull’amicizia e la terza età ma un thriller ambientato nella L.A. delle starlette tanto capricciose quanto ossessionate da fantasmi più o meno reali. Sarà un omicidio a scuotere il sogno lucido e ad imporre a chi resta di fare i conti con un investigatore tenace, colleghi ostili e amici veri o presunti. È il tipico film a stelle e strisce che ti tiene incollato alla poltrona in attesa di scoprire se sei un buon segugio. Nel cast Lola Kirke (Gone Girl: L’amore bugiardo), Zöe Kravitz (Mad Max: Fury Road) e John Cho (Star Trek Beyond). 

Un'immagine di Gemini - Ph: Locarno Festival

Un’immagine di Gemini © Locarno Festival

RECENSIONE

Los Angeles, Heather e Jill, si divertono in ristoranti e locali esclusivi. Guidano auto di lusso, abitano in ville da sogno, hanno cellulari che squillano anche di notte con proposte di lavoro. Scene di ordinaria mondanità per chi vive a ridosso di Hollywood. Divismi che però spesso celano paure tipiche di chi è schiacciato da una notorità più grande di sé. Quando l’astro nascente Heather chiede a Jill, la sua assistente e confidedente, di prestarle una pistola comprendiamo subito che il cielo azzurro della California non farà mai veramente capolino sullo schermo. Gemini, si apre così e in un soffio ci porta nella L.A. cupa e oscura in cui una giovane si trova invischiata in un omicidio di cui non si capacita, e da cui può unicamente uscirne da sola. 

Dietro la macchina da presa c’è Aaron Katz, regista dell’Oregon a cui piace cimentarsi nei vari generi cinematografici. Qualche anno fa, nel 2015, uscì vincente (si aggiudicò l’Indipendent Spirit Award) con una commedia on the road ambientanta nell’incontaminata Islanda, che con gentilezza esporava sentimenti e terza età; oggi ci riprova con un thriller che sfreccia sulle Avenue e le colline californiane e si addentra nei rapporti umani dello star system nell’epoca di Instagram.

La sua è una pellicola che non cela la propria paternità: è americana. Gemini ha una fotografia spledente e patinata (supervisionata da Andrew Reed); ha una soundtrack con un ritmo anni ’90 (firmata da Keegan DeWitt); e ha una ambientazione che profuma di crime story della decade d’oro ’85 -’95. Ha uno di quei corredi senza scalfiture, come solo oltre oceano riescono a fare e, cosa non scontata, non ci fa distrarre sino alla soluzione dell’enigma.

Un enigma peraltro tutto al femminile. Donne con segreti, nonostate la giovane età; determinate difronte ai loro demoni; e risolute nell’affrontare un presunto killer. Tutti ingredienti che ce le rendono umane e simpatiche. Che Gemini abbia gremito un cinema da 3000 posti, come il FEVI, non può stupire mentre colpisce la quantità di tessere del puzzle abbandonate lungo il tragitto, tanto evidenti da condurci alla soluzione prima di quel finale che avrebbe dovuto sorprenderci. Di fatto, si sussulta per l’incredulità. L’incredulità di essere riusciti ad unire tutti i puntini in tempi record ed avere un’immagine completa davanti agli occhi con fastidioso anticipo.

Il film di Katz non ha nulla che non va tranne l’eccessiva prevedibilità che fa deragliare il treno quando è in  prossimità del capolinea. La trama scorre fintanto che non si scopre l’arcano, poi l’incanto svanisce e si dimentica tutto in un soffio. 

Vissia Menza