Recensione di Wajib (Duty), il film di Annemarie Jacir in anteprima a Locarno 70.
Wajib, dovere. Wajib è il tradizionale rito di consegnare a mano gli inviti alle nozze di famiglia. In Palestina, oggi come ieri, è consuetudine che gli uomini di casa, in occasione del matrimonio di un familiare, diano personalmente le partecipazioni a parente ed amici. È a tutt’oggi consiederato un atto di maleducazione spedirle o delegarne la consegna. Uno di quei gesti che rende l’evento ancora più importante e solenne ma che comporta ore e ore su e giù per la città e/o regione. Nel minuscolo abitacolo, ora dopo ora, inevitabilmente pregi e difetti di una relazione come quella tra un padre ed un figlio ne escono amplificati complicando la convivenza.
Si avverte sin dall’inizio che tra l’anziano Abu Shadi e il figlio Shadi vi sia molto di non detto. Antichi dolori sono pronti a riemergere e sin dall’inizio s’intuisce siano tanto profondi quanto esplosivi. Perché Abu Shadi vive nel Nord della Palestina, nella città isreliana di Nazareth, è un insegnante sessantenne in attesa di una promozione a cui tiene molto. Mentre il giovane figlio architetto, è emigrato a Roma per evitare che le sue rivendicazioni politiche creassero uno scandalo oltre il gossip di quartiere, e oggi non ha intenzione di piegarsi a usi e ipocrisie di vecchia data.
A ben guardare i due uomini (padre e figlio anche nella realtà!), e ad ascoltare i loro discorsi, soprattutto i diverbi, non ci paiono dissimili da noi. Generazioni a confronto, tradizioni impolverate dure a morire, orgogli feriti, pretestuose prese di posizione, in quell’auto succede di tutto e quel tutto è cosi normale da tenerci ben attenti, in attesa di un colpo di testa. Ma le teste sono assennate, i colpi di scena non compaiono e le divergenze si appianano con alcuni colpi di fortuna. Com’è nella vita reale.
Wajib è diretto dalla talentuosa filmmaker Annemarie Jacir, nata a Betlemme e laureata alla Columbia University di New York. Questo è il suo terzo lungometraggio. Si tratta una commedia amara, triste ma non troppo. È on the road ma rimane sempre sotto casa. Sa sdrammatizzare quando serve. Non eccede mai e gliene siamo grati. Fotografa il fragile equilibrio di una comunità in modo chiaro ma non dirompente. Percorre la via della famiglia e non quella delle rivendicazioni. In questo scenario ne esce favorita la visione da parte d’un pubblico curioso, forse un po’ generalista, di sicuro non incline alla polemica e amante dei racconti che fluidamente arrivano al loro epilogo. Wajib funziona perché non ci mette a disagio, riconosciamo le dinamiche, è normale, normale prioprio come noi.
Vissia Menza
ndr QUI potete seguire il nostro diario da Locarno 70
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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