The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo: di tempi cupi e pensieri pericolosi

Recensione dell’ambivalente e ambizioso film con Bérénice Bejo e Robert Pattinson, ispirato all’omonimo racconto di Sartre e al Mago di John Fowles.

Il manifesto italiano del film The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo

Prescott è piccolo, è sradicato, è solo, è in terra straniera. Prescott si è da poco trasferito in un piccolo borgo della Francia appena riemersa dalla Prima Guerra Mondiale. Nell’aria c’è un forte odore di austerità. In casa non c’è traccia di amore. E lui trova conforto in sé stesso, nella anziana cameriera che lo vizia di soppiatto e nella giovane e bella insegnante di Francese, mentre la madre è troppo assorbita dalla fede e il padre dagli eventi (è il braccio destro del presidente Wilson). The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo comincia da qui. 

The Childhood of a Leader prosegue seguendo le involuzioni del giovane protagonista mentre cresce in una quotidianità fatta di agi e segreti. La sua rabbia verso chi distrattamente scambia i suoi riccioli per quelli di una bimba; la sua rabbia verso le figure femminili che lo circondano; e la sua rabbia verso un padre forte e sfuggente, stimolo perfetto per testare la propria autodisciplina; cadenzeranno la narrazione di un’infanzia negata, che s’impone come inevitabile preludio di situazioni nefaste. Quasi a suggerirci un legame subdolo e obbligato tra l’affetto negato in tenera età e la trasformazione in adulto feroce.

Una scena del film The Childhood of a Leader – Photo: Agatha A. Nitecka

L’aria è pesante, la luce è cupa, tutto è ingannevole. Si prova disagio durante la visione de L’infanzia di un capo e il merito è di una colonna sonora (di Scott Walker) inquietante e di una fotografia eccezionale (di Lol Crawley), consapevoli di come far vacillare la nostra serenità. Regista e cast (Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Stacy Martin e un opaco, quasi trasparente, Robert Pattinson) riescono a farsi notare senza spiccare uno sull’altro. I nomi sono altisonanti ma si muovono tutti con misura, sono compìti proprio come i loro personaggi. E chi tiene la macchina da presa stupisce per sicurezza e chiarezza d’idee. Brady Corbet (l’attore visto in Melancholia, Sils Maria, Escobar, Saint Laurent e Forza Maggiore) è, infatti, alla sua prima esperienza dietro una telecamera e rivela lucidità e abilità innate. Il suo lavoro convince malgrado alcune scelte sul finale ci lascino dubbiosi sulla loro efficacia e presa sul pubblico.

Una scena del film The Childhood of a Leader – Photo: Agatha A. Nitecka

The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo, non è un’opera priva di difetti. Le sorprese della trama si concentrano nella seconda parte e stridono con la lentezza e cripticità della prima. Il non detto rischia spesso di sconfinare nel poco intuitivo. E la voglia di creare un lungometraggio colto, che insegni, rende meno attraente e coinvolgente la bella confezione. Quest’ultimo punto è, forse, la nota più dolente di un film in cui non mancano i pregi – tra cui, concedetecelo, aver riservato a Pattinson un ruolo chiave facendocelo vedere il meno possibile.

La pellicola è uscita sugli schermi italiani il 29 giugno 2017, a due anni di distanza dal suo debutto alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha vinto il premio Orizzonti per la migliore regia e il Leone del Futuro per la migliore opera prima, a sottolineare questa sua ambivalenza e l’innegabile talento di Brady Corbet, un regista di cui sentiremo ancora parlare.

Vissia Menza

 

View Comments (0)

Leave a Comment