FORTUNATA: la “gente de borgata” di Sergio Castellitto

Recensione di FORTUNATA, il film con Jasmine Trinca in anteprima a Cannes 2017 (Un Certain Regard) ora nei cinema.

il poster del film Fortunata

Fortunata (Jasmine Trinca) è l’eccezione che smentisce la regola del “nomen omen”: parrucchiera a domicilio della periferia romana, madre single succube del violento ex marito Franco (Edoardo Pesce), squattrinata e precaria sull’orlo della crisi nervosa.

La sua sopravvivenza è rinforzata dagli squinternati progetti di lavoro con l’amico fraterno Chicano (Alessandro Borghi) e dall’incontro con l’empatico psicologo infantile Patrizio (Stefano Accorsi), due presenze maschili che provano a spingere Fortunata lontano dalla disperazione e ad avvicinarla ad un ruolo quasi ineluttabile di “madre coraggio”.

Lontana dalle botte, dalle bollette e dal Superenalotto, verso l’agognata realizzazione del destino nominale.

Jasmine Trinca in una scena del film Fortunata – Photo: courtesy of Universal Pictures Italy

La sesta regia di Sergio Castellitto (e terzo soggetto consecutivo della collaboratrice e moglie Margaret Mazzantini) esplora, in un dramma classico e compassato, gli spazio di manovra di una giovane madre costretta da errori ed eventi ad una vita logorante e frustrante, in cui la libertà e i sogni personali sono quasi del tutto schiacciati sotto il peso della sopravvivenza, del tirare avanti e dell’incombenza delle necessità della problematica figlioletta.

Forte della partecipazione all’Un Certain Regard di Cannes 2017 e soprattutto del premio per la migliore attrice portato a casa dalla Trinca, Castellitto maschera le molte magagne del suo film citando (sia on che off screen) la tradizione del cinema italiano, scomodando anche quel Pasolini che delle disperazioni borgatare scrisse la bibbia.

Lo fa a sproposito, perché Fortunata è l’emblema di un cinema drammatico tricolore sbiadito, sia dal punto di vista narrativo che artistico: se la regia di Castellitto è fatta della solita confortevole (?) prudenza, la sceneggiatura della Mazzantini ripropone i ben noti limiti retorici, tiepidi e prevedibili, trattando l’amore, la povertà, l’infelicità e il sacrificio come massime di Fabio Volo, come frasi fatte su bigliettini d’auguri dedicati a gente di cui non ci interessa granché, come post-it strategici da attaccare e staccare a piacimento sullo schermo.

Una scena del film Fortunata – Photo: courtesy of Universal Pictures Italy

La latitanza dell’approfondimento sociale dello spaccato periferico è drammatica, le scariche ironiche non si integrano con lo sfondo. L’approccio dozzinale riguarda anche il reparto sonoro, che crea una playlist ruffiana e disomogenea che va dai Cure a Vasco, passando per una Have You Ever Seen The Rain? dei Creedence clamorosamente didascalica.

Gioire per il riconoscimento alla Trinca è lecito, come quando vince la Nazionale, ma la prova dell’attrice lanciata da Nanni Moretti è piuttosto canonica, e poco aggiunge alla ricca tradizione cinematografica della madre-leonessa. Certo, recitare al fianco del monolitico Accorsi farebbe spiccare chiunque, ma vincere così è troppo facile. A sedurre, in compenso, sono gli “outsiders”: Borghi, già ragazzo perduto nel meraviglioso Non Essere Cattivo di Caligari, è quello che scalda di più il cuore, Pesce è bravo a raggelarlo con cattiveria e sadismo.

Alla fine della parabola, di Fortunata non è chiaro nulla: l’esito, il messaggio e le (eventuali) speranze aleggiano in un limbo fatto di cinema poco creativo, per nulla spontaneo, senza emozione.

Dove il sovrumano coraggio della protagonista stride non è quello di chi l’ha inventata, delineata e raccontata a tutti noi.

Luca Zanovello 

 

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