Recensione di Cuori Puri, il film di Roberto De Paolis in anteprima a Cannes 2017 e nei cinema dal 24 maggio.

Il poster del film Cuori Puri

Il poster del film Cuori Puri

Stefano (Simone Liberati) è un giovane uomo con un passato complicato e un presente impervio, frustrato da un lavoro ingrato, la sorveglianza di un parcheggio che confina con un campo rom, e da genitori falliti nella vita e nelle finanze.
Il primo incontro con Agnese (Selene Caramazza), appena maggiorenne, gli fa perdere il lavoro. Il secondo incontro gli fa perdere la testa, ma la ragazza è quanto di più diverso potesse arrivare dalle parti di Stefano: profondamente cattolica, sotto stretto controllo di una madre devota e opprimente (Barbora Bobulova) e, soprattutto, intenzionata a giungere illibata al matrimonio.
La storia d’amore che nasce è un’esplosione, come la Coca con le Mentos, che scompiglia le rispettive vite, sullo sfondo di una Roma di stretta attualità, tra immigrazione, disoccupazione e sfratti.

In lizza nella Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2017, Cuori Puri è il primo lungometraggio del regista, attore e fotografo Roberto De Paolis, dramma tra sentimento e sociale che ripropone le millenarie questioni degli opposti che si attraggono, della scelta fra la propria volontà e le imposizioni sociali e dell’amore che (forse) vince su tutto.
Il “duro” che incontra il “puro” non è certo un’originalità, così come il ragazzo di strada che incontra la figlia di dio; De Paolis si salva con qualche mossa astuta, prima fra tutte accerchiare i due protagonisti con molti elementi ritrovabili nelle pagine di cronaca, in un assedio in cui il coronamento di un amore, forse, non è neppure il primo dei problemi.
La sua Roma emana un senso di pericolo, come se l’ordine sociale fosse ad un passo dal collasso e, con esso, anche le speranze di farcela, che tu sia un ragazzo, una ragazza, un italiano, uno straniero, uno sulla retta via o su quella sbagliata.
Se lo spunto religioso invade ma non incide, quello sociale è affascinante e fa sospettare che le infrastrutture del racconto di Cuori Puri possano reggere fino in fondo. A supportare le speranze, la tecnica e l’estetica “consapevoli” del regista romano ed un cast solido (soprattutto Liberati), ad incrinarle il solito vizietto italiano di sollevare il piede dall’acceleratore quando si tratta di andare fino in fondo.
A cosa? Allo sviluppo e l’evoluzione dei personaggi, alla crudeltà di uno spaccato sociale descritto come spietato ed incarognito, a toni narrativi che se ne freghino di indignazione e censura abbandonandosi disperatamente al dramma di turno. Non ci si aspetta Caligari, ma in un racconto così (teoricamente) realista e disilluso fa troppo spesso capolino l’airbag dell’“andrà tutto bene”.
Nonostante questo, De Paolis non sfigura nel suo esordio e mette delle basi – speriamo – per tentare qualcosa di più coraggioso nei prossimi chiari di luna. E il suo Cuori Puri, pur con qualche ingenuità comprensibile, graffia la pelle.

Luca Zanovello