Il film Alamar: un padre, un bambino, il mare

Recensione del film Alamar di Pedro Gonzáles-Rubio, al cinema Beltrade di Milano e (speriamo) in tutta Italia dal 25 maggio.

Il poster dl film Alamar di Pedro Gonzáles-Rubio

Chi ci legge spesso sa bene quanto noi di MaSeDomani siamo affezionati al cinema Beltrade. Per chi non lo conoscesse ve lo racconto in breve: è una vecchia sala parrocchiale in via Oxilia (piazzale Morbegno, semi-periferia nord di Milano), ristrutturata e presa da alcuni anni in gestione da due dinamiche signore che ne hanno fatto un solido punto di riferimento per tutti i cinefili della città (memorabili le maratone di 24 ore dedicate all’opera omnia di Xavier Dolan e di Jim Jarmush).

Le sue principali caratteristiche sono due: la prima è che TUTTI i film stranieri – di finzione e anche tanti documentari – vengono proiettati in lingua originale sottotitolata, anche le più astruse, dall’islandese a certi dialetti indiani, e di recente un’oscura lingua del sud Pacifico che nessuno, credo, aveva mai sentito nominare. La seconda è che, grazie all’introduzione della proiezione digitale, è possibile mettere ogni giorno in cartellone 6-7 titoli diversi, che a rotazione cambiano quotidianamente orario. Alcuni titoli amatissimi, grazie al tamtam tra spettatori, sono così rimasti in programmazione per mesi.

Banco Chinchorro, dove si svolge il film Alamar © Mantarraya

Eppure, se oggi date un’occhiata al loro sito, vedrete che questa sera dalle 18.30 in poi lo stesso titolo compare per ben tre volte. Le nostre amiche, dopo anni di frequentazione di tanti piccoli e grandi festival cinematografici internazionali, si sono appassionate ad un piccolo film messicano del 2009 e hanno deciso di fare il grande passo: sotto il nome di Barz and Hippo e affiancate da altre due piccole realtà culturali – Ahora! Film e Rossosegnale – ora lo distribuiscono in Italia.

Il film Alamar risponde in pieno a tutte le caratteristiche tipiche dei lungometraggi proiettati in questa sala: produzioni indipendenti di cinematografie che, dall’alto del nostro egocentrismo occidentale, definiremmo minori, e niente supereroi. Al contrario, i protagonisti sono sempre eroi del quotidiano, gente comune che però ha tanto da comunicare alla mente e al cuore di tutti noi, facendoci a volte ridere, o piangere, o palpitare, e comunque sempre riflettere su quanto anche i più lontani possono essere simili a noi.

Natan Machado Palombini e Jorge Machado nel film Alamar

A 35 chilometri al largo della sponda atlantica dello Yucatan, in Messico, c’è un vero Paradiso marino: è il Banco Chinchorro, la seconda più estesa barriera corallina del mondo dopo quella australiana. Qui i pescatori, per alcune settimane all’anno, vivono su palafitte ed esercitano la pesca con metodi antichi. E qui arriva Jorge, giovane uomo di origine maya che vive e lavora sulla costa, accompagnato dal piccolo Natan, suo figlio di 5 anni che da tempo vive in Italia con la mamma. Nell’ultima estate prima che inizi la scuola il padre vuole fargli conoscere le sue origini.

Natan e Jorge accompagnano ogni giorno il vecchio Matraca a pescare, e ogni giorno Natan scopre una sempre più profonda connessione con la natura, riesce ad ammaestrare un uccello marino che chiama Blanquita, impara a perlustrare l’affascinante mondo che si cela sotto la superficie marina. Bambino tra due mondi, quello semplice, sobrio e lento di quando sta con suo padre, e quello della complessa società urbana in cui vive con la madre, apprende in questo viaggio ancestrale qualcosa che rimarrà con lui per sempre.

Il regista del film Alamar Pedro Gonzáles-Rubio con Jorge e Natan

Tutto qui? Sì, Alamar è un film che risplende per semplicità. Il regista Pedro Gonzáles-Rubio – di origine messicane ma nato a Bruxelles, ha vissuto da giovanissimo in India, ha studiato a Londra, per poi ritornare in Messico e infine stabilirsi (per ora) in Francia – ha scritto e filmato, con il solo ausilio di un fonico, una storia delicatissima e universale: la costruzione, prima che sia troppo tardi, del rapporto tra un padre e un figlio, con quel piacere tutto speciale di fare e scoprire insieme grandi e piccole cose.

Anche se storia e personaggi sono reali (con minuscoli ritocchi per rendere l’insieme “più cinematografico”) siamo ben lontani dal freddo documentario, non c’è nessun approccio distante e intellettuale. E mancano del tutto tediose sparate ecologiste sul rischio che stanno correndo quei luoghi meravigliosi, assediati come sono dal turismo di massa: l’argomento è appena sfiorato, privilegiando inquadrature suggestive – ma mai banalmente pittoresche – e lunghi silenzi in cui unica colonna sonora sono i suoni del mare. E’ solo – solo? – la storia poetica e sincera di un padre che sceglie di tornare per qualche tempo alle sue radici per insegnare a suo figlio i veri valori della vita.

Marina Pesavento

 

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