è di nuovo giovedì, afferro l’abbonamento all’ultimo minuto, scendo di corsa le scale, salgo in macchina e mi affretto al cinema: non appena mi siedo le luci si congedano e il buio ci regala il film Jackie di Pablo Larraín
Jackie è la newyorkese Jacqueline Lee Bouvier dal 1953 moglie di John Fitzgerald Kennedy e First Lady del Presidente dal 20 gennaio 1961 al 22 novembre 1963, data del tragico assassinio del marito, immortalato dalle televisioni internazionali e ben impresso nelle nostre memorie, lui e lei a Dallas seduti uno accanto all’altra nella berlina presidenziale diretti verso il Trademart dove John doveva tenere un discorso e improvvisamente la tragedia: il presidente viene ferito mortalmente alla testa
siamo tutti qui seduti in attesa di saperne di più, anzi vorremmo conoscere ogni dettaglio di questa donna che ha fatto tanto parlare di sé, siamo terribilmente curiosi è inutile negarlo e così ci accingiamo ad accogliere la verità al di là di pettegolezzi e supposizioni
la trama si sofferma principalmente sui giorni successivi all’omicidio del presidente, ne siamo delusi, speravamo di venire a conoscenza della vita intera di Jackie, che leggerezza la nostra
apprendiamo che a cinque giorni dalla morte del marito, la vedova, qui interpretata dall’attrice Natalie Portman, si fa intervistare da Theodore H. White, noto giornalista di Life e srotola una relazione dettagliata della verità, ricordando i momenti salienti della sua vita alla Casa Bianca, alcuni particolari del suo matrimonio e la sua reazione alla tragedia nei pochi giorni prima del trasloco dalla Casa Bianca
la macchina da presa inquadra più volte la scena del delitto e noi, abituati come siamo a macabre serie televisive, ci mostriamo insensibili alla vista del sangue, gli eventi sono drammatici, ma la narrazione nel complesso risulta distaccata, dove sono quelle emozioni intense che pensavamo ci si aggrappassero alla gola, ecco le vedo, sono là, congelate sullo schermo, cerchiamo di farcene una ragione
la delusione aleggia nell’aria
i doveri formali di Jackie, in qualità di moglie del presidente, prendono il sopravvento sul suo dolore immenso, il controllo smisurato paralizza ogni suo turbamento e la protegge da un inevitabile tracollo psicologico che probabilmente le avrebbe impedito di costruire quell’immagine perfetta del marito che ci ha lasciato in eredità
in debito di empatia, poso lo sguardo su me stessa e mi stupisco, le lacrime riposano nelle loro ghiandole, la bocca è immobile, il viso impassibile, il cuore pulsa tranquillo, il respiro è regolare, volto il capo di qua e di là, scruto chi mi sta intorno, il silenzio è glaciale, sembriamo tutti anestetizzati
è inspiegabile
proseguo nella visione del film, è tutto curato nel minimo dettaglio, i vestiti, la casa, l’arredamento, i soprammobili, le parole calibrate, cerco i sentimenti ma sono sigillati in una grande performance cui la povera Jackie si sarebbe sottratta molto volentieri
è giunto il momento di comunicare ai bambini che il loro papà non c’è più e ancora una volta mi irrigidisco di fronte a quella freddezza gigantesca, faccio per alzarmi e andarmene, eppure, chissà perché, mi trattengo da sola, prendo uno scalpello immaginario e cerco di fare breccia nella sua corazza, inutilmente, non c’è verso di andare oltre, mi rassegno e rifletto
il funerale, il lungo corteo, la sepoltura, l’addio sulla bara, i bambini, la chiesa affollata, ti sarai pure lasciata andare qualche volta, cara Jackie
si accendono le luci e il pubblico in sala siede imbalsamato nelle poltrone, che fosse questo l’intento di Pablo Larraín?
Elisa Bollazzi
n.d.r. un clic qui per leggere la recensione del film Jackie
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection