PLANETARIUM: Storie Di Fantasmi Francesi

Recensione di Planetarium, il film con Natalie Portman e Lily-Rose Depp al cinema dal 13 aprile 2017.

il poster italiano del film PLANETARIUM

Dopo i tortuosi 110 minuti di Planetarium, co-produzione Francia-USA e terza regia della parigina Rebecca Zlotowski (Grand Central), ho la stessa sensazione di quando mangio a pranzo un’insalatona extra large, fatta di troppi ingredienti e condita male.
In primis, la sensazione di non aver ben capito cos’abbia appena assimilato. Poi, il presagio che tutto quanto si rinfaccerà puntualmente e tragicamente a metà pomeriggio. Infine, sonnolenza.

Il soggetto di partenza, in realtà, intriga: Francia anni 30, le sorelle Laura (Natalie Portman) e Kate (Lily-Rose Depp, figlia di) sono due pseudo sensitive che si guadagnano da vivere con sedute spiritiche scenografiche e teatrali effettuate in pubblico.
Tutto cambia, per loro, quando il facoltoso produttore cinematografico Korben (Emmanuel Salinger) rimane affascinato dalle loro attività paranormali e le ingaggia, ospitandole nella sua enorme villa, per trasformarle nelle protagoniste quanto mai realistiche di un film di fantasmi. Il cinema francese è in crisi, alle prese con l’ascesa di Hollywood, occorre qualche colpo a sorpresa.
Nella Parigi di novant’anni fa va in scena Planetarium, un impiastro di generi che prova a intersecare dramma, romanticismo e morbosità nella vaga parentesi metacinematografica.

Una scena di Planetarium – Ph: courtesy of Officine UBU

I problemi della pellicola della Zlotowski sono numerosi, il primo è senza dubbio la velleità di giocare coi generi, manipolandoli senza guanti: il risultato è un trattamento approssimativo e fuori fuoco di tutto, dove l’apice è un’infarinatura clamorosamente superficiale della materia soprannaturale.
Difficile arrivare in fondo, nel deserto emozionale del film, complicato capire i motivi dell’endorsement del progetto da parte della Portman: brava a vuoto, ma passare dalla sua Jackie Onassis all’imbambolata Laura in una settimana è un trauma vero.
Peggio di lei fanno la Depp Jr (che a curriculum ha un paio di comparsate nei film di Kevin Smith e la sponsorizzazione paterna) e l’insopportabile, sopra le righe, drama king Salinger.
La sensazione che aleggia, comunque, è che una struttura narrativa sbilenca come quella di Planetarium non l’avrebbe potuta salvare nessuno, che anche i presupposti vagamente interessanti (qualche spunto torbido, nella prima mezzora) non avrebbero mai trovato un buon punto di arrivo.
Parente lontano e scialbo delle atmosfere Cronenberghiane di A Dangerous Method (2011), Planetarium consegna un prodotto finale che è una fatica per occhi e orecchie, senza messaggio, brivido o anima.

Luca Zanovello

Una scena di Planetarium – Ph: courtesy of Officine UBU

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