I am not your Negro di Raoul Peck, un documentario di disarmante attualità

Recensione di I am not your Negro, il film premiato alla Berlinale 2017, candidato all’Oscar®, in anteprima al 27° FCAAAL e dal 21 marzo al cinema. 

La locandina italiana di I am not your Negro

Una voce  calda, intensa e un po’ suadente ci mette subito a nostro agio. Il bianco e nero è avvolgente, deciso ma non tagliente, potrebbe essere patinano ma non lo è. I filmati sono di repertorio. Le fotografie sono d’archivio. I protagonisti sono tutti noti, eternati dai testi scolastici. Le citazioni e gli spezzoni sono tratti da classici del cinema, pellicole con Gregory Peck, Doris Day sognate e John Wayne alle prese con gli indiani, solo per cintarne alcune. Le immagini che scorrono sullo schermo hanno una allure intrigante, in grado di catalizzare il nostro sguardo sin dai titoli di testa. Quei titoli che cadenzano la visione e rendono un documentario di 95 minuti avvincente quanto un thriller turbolento. A vederlo si stenta a credere che I am not your Negro sia una storia vera, priva di inserti di finzione. E’ montato con intelligenza ed eleganza. Il messaggio che manda è di quelli rari per chiarezza e sotto-testo. Mette quasi in soggezione. Il regista haitiano Raoul Peck ha confezionato un lungometraggio che merita tutto il successo che ha avuto e sta avendo (ha vinto il premio del pubblico nella sezione Panorama della Berlinale 2017 ed è stato candidato agli Oscar® un mese fa).

Io narrante di I am not your Negro è James Baldwin alla soglia dei 55 anni, un uomo appena rientrato in patria e determinato a raccontare un triste e irrisolto capitolo della storia del proprio Paese. Nell’arco di cinque anni (tra il 1963 e il 1968) Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King Jr. vennero assassinati. Lo scrittore li conosceva, li stimava e li voleva omaggiare con un progetto letterario, che però rimase incompiuto. Quello che non sapeva è che la sua analisi del contesto sociale dell’epoca sarebbe stata, ad anni di distanza, ancora d’aiuto per capire un’America indecisa e disorientata, impaurita, alla costante ricerca di sé stessa.

Who Needs N_____s, Spider Martin,1965

Le parole sono direttamente tratte dalle poche pagine esistenti di Remember this House, il libro che mai venne finito. La voce in prestito è quella di Samuel L. Jackson. Il risultato è una pellicola che stupisce per le immagini e i concetti enunciati: semplici, lineari quasi banali ma mai messi in atto. Emergono le divergenze, i punti di contatto, le ipocrisie degli uomini, di una società, di un intero secolo. Baldwin ieri e Peck oggi, senza sfruttare espedienti sensazionalistici, in più di un’occasione ci ricordano l’importanza del presente, delle nostre scelte di questo momento, non di ieri né di domani. Ne emergiamo tutti ammaccati, incapaci di dar seguito ad un principio naturale come distinguere le persone in base alle affinità e non alle necessità. E nonostante Baldwin parlasse ad una nazione che stava battagliando per l’uguaglianza della propria gente (e concepiva come un’utopia la possibilità, un giorno non troppo lontano, di avere un presidente nero) quando guarda la telecamera, sentiamo i suoi occhi puntati addosso. E’ tremendamente attuale, siamo a disagio.

I am not your Negro riesce quindi ad imbarazzare anche noi, abitanti di un Vecchio Continente sempre più acciaccato e in preda ad ancestrali paure, che non sa fare i conti con il suo retaggio, che dipende da un’economia impazzita e che non si decide a diventare grande. I am not your Negro non è un banale documentario, non è un manifesto, non è un noioso collage di vecchi filmini. E’ la lucida radiografia di una cultura incline all’emarginazione e al razzismo, è un piccolo gioiello che stimola il senso critico degli spettatori come non si vedeva da molto – molto – tempo. Baldwin è da leggere. Il film di Peck da vedere e rivedere.

Vissia Menza 

 

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