arrivo al cinema per tempo, mi guardo intorno, due chiacchiere con gli amici, un’occhiata alla locandina, la spiaggia, il mare e due ragazze in corsa verso la libertà, così pare
entro in sala dove mi aspetta un film italiano, Invisibili di Edoardo De Angelis, prevedo una regia impegnata ambientata nel degrado del sud italiano, si spengono le luci ed eccoci avvolti da suoni irriconoscibili, i sottotitoli ci fanno pensare a un film in lingua originale, finalmente, come in tutte le proiezioni internazionali
la lingua ci è ignota, prestiamo attenzione, aguzziamo le orecchie, il collo piegato e con sorpresa la rivelazione, siamo nel meridione italiano e gli attori recitano in dialetto campano, sorridiamo stupiti pensando a un’Europa unita e a un’Italia frammentata
Indivisibili sono due gemelle siamesi, Viola e Dasy, diciotto anni a testa, che mantengono tutta la famiglia cantando a feste e matrimoni le canzoni scritte dal loro padre-aguzzino-impresario, Viola e Dasy, due splendide attrici esordienti, due perle rare che svettano nella desolazione di Castel Volturno, una porzione di terra della Campania patria del malaffare e della delinquenza, due fiori in un campo devastato, voci d’angelo in un coro stonato, l’una la stampella dell’altra, finché, la svolta, un’operazione può separarle ed ecco intravedersi la libertà dietro l’angolo, i sogni vagano nell’etere, potranno vivere ognuna la propria vita senza sentirsi tutti quegli occhi addosso come se fossero fenomeni da baraccone
la trama è fitta, gli eventi sono innumerevoli, troppi e si susseguono sempre più carichi di angoscia toccando tematiche inquietanti, il pericolo, l’oscurità, lo squallore, la perversione sessuale, la malvagità, la superstizione religiosa, la morte, siamo ai limiti dell’inverosimile, l’ansia avvolge il pubblico presente e perfino quello assente, mi manca il respiro, la violenza è insopportabile, siamo al cospetto di una doppia liberazione dall’adolescenza tra inimmaginabili tranelli della vita e incredibili trappole della disumanità, abbasso lo sguardo, chiudo gli occhi e mi rintano nella memoria dei dolci visi delle due gemelle siamesi unite da un pezzetto di anca e da un amore reciproco intenso
qui trovo aria per i miei polmoni
uno spiraglio di speranza
serro gli occhi con decisione, rifiuto la cruda realtà che mi viene imposta là sul grande schermo, quella cruda realtà che probabilmente esiste in Campania e anche altrove, in Italia e all’estero, ma preferisco non crederci, rifiuto l’evidenza, cerco un appiglio cui aggrapparmi, lasciatemi sognare per carità, trovo una fioca luce di speranza nelle nuove generazioni che mi auguro sappiamo dare un taglio netto al passato, abbraccio Viola e Dasy, creature innocenti impegnate nella scalata più ardua, quella della vita
buona fortuna
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
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