Recensione de LA LEGGE DELLA NOTTE, il nuovo film di Ben Affleck al cinema dal 2 marzo 2017.
America, anni ’20, pieno proibizionismo: Joe Coughlin (Ben Affleck) è un piccolo rapinatore, un pesce guizzante ma piccolo che saccheggia con un paio di compari le banche di Boston.
Dopo una rapina andata storta, per Joe si chiudono molte porte: ricercato dalla polizia, sulla lista nera del potente Albert White (Robert Glenister) per la sua liaison con la bella Emma (Sienna Miller), costretto a cambiare aria per un po’.
Il portone che si apre è l’offerta del boss della malavita italiana Maso Pescatore (Remo Girone), che con un velatissimo ricatto spinge Joe verso la tiepida Florida, per contrabbandare a suo nome alcool ed annullare l’annosa concorrenza.
Una promozione a cui non si può dire di no, che spinge alle stelle il cattivo-ma-non-troppo Joe, in un upgrade da capogiro, dai dilettanti alla “serie A”.
La quarta regia del due volte premio Oscar Ben Affleck è uno di quei film che fa il passo più lungo della gamba, risolvendosi in un gangster-dramma lungo ed articolato, tanto ambizioso quanto incompiuto.
Sulla scia del manuale di epopee criminali scritto (in vari tempi e modi) da Martin Scorsese, La Legge Della Notte adatta l’omonimo romanzo di Dennis Lehane.
Se il nome dello scrittore di origini irlandesi non vi è nuovo, non sorprendetevi: la sua penna è già stata “sfruttata” a Hollywood da Eastwood (Mystic River), dallo stesso Affleck (Gone Baby Gone) e proprio da Scorsese (Shutter Island).
La ricetta del genere è seguita alla lettera: dai superboss – Girone è magnetico, ma paga il doppiaggio – alle superpupe, dal braccio destro battutaro (Chris Messina) alle ambivalenti logiche di potere, quello di Affleck sembra un lavoro appassionato ma troppo calcolato per fare breccia. E, soprattutto, sembra sfuggire di mano scena dopo scena, culminando in un finale agonizzante.
Con un super cast, ma riservando a se stesso il ruolo portante del film, Affleck riconferma inequivocabilmente al mondo di essere molto più ispirato dietro la macchina da presa che davanti: il suo Joe è un monoespressivo monolite, poco credibile nell’escalation da scagnozzo a capo dei capi, con un umorismo che sembra più di circostanza che altro.
Ugualmente, la caratterizzazione del personaggio cardine del film, che vuole celebrare le zone di confine tra pulsione criminale e integrità personale, conduce a una via di mezzo poco incisiva: l’etica con asterisco di Joe va e viene, con difficoltà (o poca voglia di) giudizio.
Tra le fronde confuse, qualche punto a favore c’è: come la vivida cartolina degli Stati Uniti tesi fra le limitazioni proibizioniste e le trasgressioni, stritolati da tensioni razziali (l’incursione del Ku Klux Klan) e predicatori che oggi furoreggerebbero su Youtube (illuminante Elle Fanning nel poco tempo on screen).
Poco per sorreggere oltre due ore che dipingono un affresco di criminalità sbavata, di un modo di “cavarsela” negli U.S.A. e di essere un buono-cattivo.
Solo per malati di gangster, dell’epoca o del faccione di Ben.
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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