La recensione in anteprima del film The Great Wall di Zhang Yimou, al cinema dal 23 febbraio. 

Il poster italiano di The Great Wall

Il poster italiano del film The Great Wall

The Great Wall. La Grande Muraglia cinese. Una serie di mura, con fortini a cadenza regolare, per una lunghezza di più di ottomila chilometri. Una costruzione durata oltre mille anni, dal 215 a.C. (per lo meno è ciò che le fonti ritengono), recentemente entrata nelle sette meraviglie del mondo. Intorno ad essa molti racconti, molti documenti e pure molte leggende. A una di queste ultime s’ispira The Great Wall di Zhang Yimou.

Zhang Yimou è il regista di Lanterne Rosse, di Hero e del poetico e coreograficamente incantevole La foresta dei pugnali volanti e The Great Wall è il suo primo lavoro in lingua inglese. Non a caso protagonista è un gruppo di super-star cinesi (tra cui spiccano Jing TianAndy Lau) affiancato da tre attori occidentali: il trasformista Matt Damon (The Martian, Jason Bourne), Pedro Pascal (Il Trono di Spade) e Willem Dafoe (Grand Budapest Hotel, John Wick). Il risultato è un film da record, il più caro tra quelli girati interamente in Cina – la rete parla di 130 milioni di dollari.

Matt Damon in The Great Wall -Ph: Universal Pictures

Matt Damon in The Great Wall © Universal Pictures

L’unione di due mondi e del loro amore per la settima arte ne ha fatto nascere un lungometraggio dagli effetti visivi grandiosi, dalle esplosioni epiche, dalla trama fantasiosa, un perfetto intrattenimento da multisala il venerdì sera. Il Blockbuster-one a stelle e strisce abbraccia l’eleganza del wuxiapian in arrivo dal Far East. Ne emerge una storia di assedio e battaglia con grande sfoggio di armi, strategie e sfide. Gli eroi si redimono, gli avversari sono spietati e la Grande Muraglia diventa l’ultima frontiera, la terra di mezzo, il luogo in cui l’umanità si difende dalle creature dell’altro-mondo.

Una trama che pare scritta da un aspirante Tolkien distratto, trasferitosi nella immensa e lontana Cina, con un tocco di World War Z soprattutto sul finale (probabilmente, la presenza di Max Brooks tra gli sceneggiatori ha lasciato un segno indelebile). Ma non rinnega il suo Paese, le sue tradizioni, anzi, rende loro omaggio senza lesinare computer grafica, con danze di spade che impongono tuffi coraggiosi nel vuoto. Si salverà il mondo? Basteranno la Muraglia e la sua armata a tenerci tutti al sicuro? Chi narrerà ai posteri le gesta dei valorosi combattenti?

Jing Tian in the Great Wall (c) Universal Pictures

Jing Tian in the Great Wall © Universal Pictures

In realtà, di falle questo Great Wall ne ha, e più di una. Il plot, in primis, è di quelli in cui è meglio non porsi domande perché di risposte coerenti non se ne otterranno. Si deve vivere l’avventura come una parentesi ludica, d’altro canto i fotogrammi di apertura sono i primi a ricordaci di non prendere nulla sul serio. E non possiamo neppure lamentarci dei rimandi a scene già viste nelle roboanti produzioni americane, come potevano mancare in un’operazione commerciale studiata appositamente per soddisfare l’appetito orientale di cinema in arrivo dal Nuovo Mondo?

Tutto sommato, a ben vedere, la pellicola appaga lo spettatore di qui e di là. Il budget fantasmagorico ha, infatti, permesso di girare scene accurate, con costumi colorati e preziosi e una fotografia attenta ai giochi di luce, alle linee, alla bellezza. Ogni movimento è studiato, la magnificenza degli interni del Palazzo Imperiale è caleidoscopica e il cast appare convinto e/o caricaturale quando serve (non siamo sicuri quanto si capissero ma non ci interessa neppure scoprirlo, ci fa ridere e questo ci piace).

The Great Wall a suo modo è un esperimento riuscito. Non passerà agli annali come la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, non avrà l’estetica e il sotto-testo di Hero, ma non è neppure fracassone come certi “giocattoloni” confezionati appositamente per farci mangiare troppi pop-corn.

Vissia Menza