finalmente è di nuovo giovedì, l’amato cineforum mi attende, eccomi, la sala è gremita, l’aspettativa è alta, vedremo Genius di Michael Grandage, alla sua prima produzione cinematografica, la storia è tratta dal romanzo Max Perkins: Editor of Genius di A. Scott Berg, il cast è eccellente, la locandina accattivante
le luci se ne vanno e sullo schermo compare il nome di una città e una data, siamo ancora in partenza per un viaggio oltreoceano, che gioia
New York, 1929
il solito spettatore diligente alle mie spalle ripete a voce alta scandendo con accento perfetto le parole New York e la data, nine-teen-twen-ty-nine, a ricordarci l’inizio di anni perseguitati da problemi che ben conosciamo, ahimè
sbarriamo occhi e orecchie predisposti a una visione attenta
la trama è semplice, Colin Firth nei panni di Max Perkins, l’importante editor di autori quali F.F. Fitzgerald e Ernest Hemingway, scopre e lancia al successo Thomas Wolfe, scrittore e poeta statunitense del primo Novecento, magnificamente interpretato da Jude Law
alcuni personaggi arricchiscono lo scenario e assottigliano l’onnipresenza dei due protagonisti, solo a tratti, nostro malgrado, le loro mogli imbrigliate nelle ombre dei loro mariti, appena abbozzate, peccato, Zelda, fragile consorte del grande Scott Fitzgerald, ci smuove, ma nulla al confronto del legame burrascoso tra l’editor e lo scrittore, un conflitto di ambivalenza fra amore e odio, Perkins rapito dalla scrittura di Wolfe e Wolfe, un ego spropositato in lotta con la cura editoriale della sua immensa produzione, la penna rossa corregge qui e là, riduce, modifica, parole tranciate con fermezza, ferite al cuore, frecce insanguinate, soffriamo con lui e per lui, una creatività incatenata al limite della follia
il passo è breve
il successo rende Wolfe paranoide e il suo editor sempre più rigido, la relazione professionale assume caratteristiche private, siamo tutti al cospetto di un padre severo alle prese con un figlio ribelle e un figlio ribelle tormentato da regole costrittive di un genitore inflessibile, taglia qui, taglia là, le parole sono troppe, riduciamo le pagine, pura violenza per Thomas, la rabbia e il delirio lievitano in lui mentre in Max aumenta la resistenza e la compostezza, perfino il pubblico assente ne è infastidito, lasciati andare, abbassa le armi, togliti quel cappello, un tappo sulla testa per paura che ne schizzi fuori la spontaneità, suvvia
le scene sono lente, prendo le distanze alla ricerca di nuove coordinate, invano, mi sono persa, non so più dove sono e in che anni, che sia un problema mio, mi riempio di dubbi, gli attori vestono sempre gli stessi abiti e paiono non invecchiare, mi spazientisco, perdo la cognizione del tempo e dello spazio, mi guardo intorno per capire se sono al cinema o a teatro, reclamo soccorso, sospiro
Perkins e Wolfe
Wolfe e Perkins
legati uno all’altro dall’alto lume delle loro genialità mi stanno soffocando, perdonatemi, ho bisogno di una tregua
Elisa Bollazzi
n.d.r. un clic QUI per leggere la recensione pubblicata in occasione della prima di Genius alla Berlinale 2016
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection