è giovedì e come ogni settimana decine di persone confluiscono al cinema, questa sera per ritrovare la poetica di Woody Allen, le tematiche sono tante, ben note, l’amore, la morte, la religione, l’ego, le nevrosi, la nostalgia, il nichilismo e molte altre a seguire
non ci stanchiamo mai di riviverle
entriamo, ci sediamo e la manciata di minuti d’attesa ci sembra un’eternità, non stiamo più nella pelle, alle nostre orecchie pare di sentire musiche e voci inesistenti in lontananza, ci avvisano che la pellicola sta per iniziare, vista e udito allertati, antenne tese, le luci si spengono e una magica storia americana ci attende
eccoci rimbalzati nella frizzante America degli anni Trenta, durante una festa hollywoodiana in una villa tutta vetri con piscina a specchio, abiti sfarzosi e conversazioni importanti ci rapiscono, respiriamo il profumo dei soldi e danziamo sulle poltrone al ritmo di una vivace musica jazz quando una telefonata ci svela l’incipit di una giovane vita in fermento
Bobby Dorfman, interpretato da un Jesse Eisenberg ineguagliabile, è un ragazzo ebreo che vuole cambiare vita e decide di lasciare New York alla volta di Los Angeles dove vive lo zio Phil, ricco agente cinematografico. Bobby trova un lavoro e perde la testa per Vonnie, la segretaria dello zio, una splendida Kristen Stewart, ma, come da copione, lei è già impegnata
la trama prosegue a passo svelto e si complica, gli amori si intrecciano e la colonna sonora swing ci prende per mano e ci riporta a New York dove Bobby si costruisce un futuro come gestore di un noto café society grazie all’aiuto di suo fratello Ben, un gangster dai trascorsi inquietanti
le vicende si susseguono a ritmo incalzante e la svolta finale è dietro l’angolo, la aspettiamo con ansia
le circostanze sono tante, la trama è fitta, le battute sagaci, i colori accesi, la musica avvincente, siamo bersagliati su tutti i fronti, non riesco a stare al passo, è troppo, i miei occhi e le mie orecchie sono sovrastimolati e chiedono una tregua, abbasso le palpebre per qualche minuto e mi dedico unicamente all’ascolto
usando un senso alla volta riesco a capire meglio i dialoghi, le confidenze, i commenti dei miei vicini, ridono, sorridono, sono commossi da una scena improbabile, tengo gli occhi chiusi e le orecchie spalancate, ma le palpebre si ribellano, vogliono sapere, curiose come sempre, allora sbarro gli occhi e il mio cervello collega le informazioni, sorrido anch’io, ora vedo, sento e capisco
trascorrono pochi minuti e mi ritrovo nuovamente confusa, gli stimoli sono eccessivi, chiudo le orecchie con decisione lasciando il campo alla vista, che pace, mi gusto le scene nel silenzio più totale e immagino i dialoghi dell’amore, della paura, della gelosia, ecco un viso delicato che supplica chiarezza, l’occhio languido, il respiro accelerato, vuole sapere se sia mai stata tradita, lo implora, incurva il capo e gli legge la risposta sul viso, ahimè, la vita è come un teatro, una vera finzione
ora lei sa
ma finge di non sapere
la lettura labiale è divertente e utile così rinfresco il mio inglese e apprezzo maggiormente il film in un silenzio profondo, mi tranquillizzo beata tra splendide immagini, bravo Vittorio Storaro, ottimo lavoro
occhi chiusi e orecchie aperte
orecchie chiuse e occhi aperti
la strategia è vincente, alterno un senso all’altro per tutta la durata del film e mi infilo nella trama come meglio credo, spesso decido io che parole dare ai movimenti delle labbra sicura di tenere fede alla poetica dell’amato Woody Allen
lo conosco troppo bene
Elisa Bollazzi
n.d.r. n.d.r. un clic qui per leggere la recensione di Café Society in occasione dell’uscita nei cinema italiani
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
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