Recensione di Assassin’s Creed, il film di Justin Kurzel con Michael Fassbender nei cinema dal 4 gennaio.
Callum Lynch è un criminale con un destino molto particolare: è condannato a rivivere il passato di Aguilar de Nerha. Un’organizzazione super-segreta lo crede, infatti, il discendente diretto di un uomo vissuto ai tempi dell’Inquisizione spagnola, un combattente, un “assassino”, il cui scopo nella vita era vegliare sul genere umano, proteggendolo quando necessario dai Templari. Sopravvivere per Callum non sarà così semplice. Ecco l’apertura di Assassin’s Creed, fanta-storia basata sull’omonima serie videoludica di Ubisoft arrivata nei nostri cinema durante la pausa natalizia appena conclusa.
Il protagonista ha il volto di Michael Fassbender (qui anche produttore) e dietro la macchina da presa c’è Justin Kurzel. A riformare il trio di Macbeth ritroviamo nei panni della prima donna, oggi una scienziata, Marion Cotillard. Al resto ci pensa Kurzel e, ancora una volta, riesce a rovinare tutto ciò che in altre mani sarebbe stato un successo. Perché Assassin’s Creed poteva/doveva essere un bel Blockbuster, di quelli perfetti per le feste, in cui si può smettere di pensare e ci si può divertire con le imprese fantasmagoriche dell’eroe di turno. Invece, le velleità del regista, unite a degli autori a cui è sfuggito il controllo della penna, hanno combinato un gran pasticcio.
Partiamo proprio da quello script poco convincente, con dialoghi ai limiti dell’insopportabile. Probabile tentativo – non richiesto – di spiegare qualcosa che a nessuno interessava sapere. Siamo, infatti, difronte ad un racconto ancorato ad un passato remoto, farcito di miti e leggende, talmente improbabili da rendere lo “spiegone” razionale qualcosa di assurdo. Come se non bastasse, Dan Brown deve aver fatto proselitismo dato che la trama (della pellicola) è ricolma di complotti connessi alla religione, a vari deliri di onnipotenza e a fantomatiche apocalissi sino a compromettere la sua stessa unicità e godibilità.
E poi c’è il regista che deve sempre dimostrare di essere un artista e finisce col commettere il medesimo errore ancora e ancora. Di nuovo, la fotografia è accurata ma fuori luogo (quindi pretenziosa), l’azione è una non-azione e la recitazione è rigida come uno stoccafisso (Kurzel ha l’abilità di tirare fuori il peggio anche da ottimi attori come Fassbender e Cotillard). I fratelli Wachowski (i padri o, se preferite, le madri del meraviglioso Matrix), sono irraggiungibili e qualcuno doveva ricordaglielo. E tentare in ogni modo di nobilitare un film di cassetta, che attinge da un videogioco (!), al posto di sforzarsi per sovraccaricarlo di adrenalina, è una scelta difficile da condividere.
Bastava un pizzico di coerenza col genere per vincere la partita. Assassin’s Creed doveva grondare testosterone, non filosofia. E doveva essere fonte di divertimento e risate, non farci annoiare a morte. Ora, in vista del sequel, suggeritoci al calar del sipario, chiediamo a gran voce ci venga restituita un po’ di quell’ilarità che tanto ci è mancata l’altra sera.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”