Recensione del documentario Strike a Pose di Ester Gould e Reijer Zwaan in sala solo il 5 e il 6 dicembre 2016

Il poster italiano del film Strike a Pose

Il poster italiano del film Strike a Pose

Mi mancano gli anni ’90. Pochi giorni fa, una frivola conversazione su moda e costume ha schiuso i miei cassetti della memoria. In un lampo la polvere ha lasciato il posto ad immagini lontane, ma non ancora elise dal tempo, in cui la Regina del Pop (Madonna) e i dannati del Grunge (i Nirvana) si contendevano il mio cuore di giovane (quasi) adulta. Anni dirompenti nonostante fossimo stati etichettati come Generazione X. Era l’epoca dei jeans strappati, dell’esplosione di tatuaggi e piercing e della difficile, e i ben più seri, problemi della gay community. Fu una piccola grande rivoluzione. Strike a Pose, il documentario di Ester Gould e Reijer Zwaan, ci riporta in quel periodo e nel backstage di un backstage: dietro le quinte del documentario A Letto con Madonna, un film dal successo clamoroso che svelava il lato umano e complice, una volta lontano dal palco – quello del Blond Ambition Tour del 1990 – della popstar americana.

Protagonisti di questo viaggio nella valle dei ricordi sono i ballerini che resero quel tour memorabile, e la pellicola realizzabile. Kevin Stea, Jose Gutierez, Gabriel Trupin, Luis CamachoOliver Crumes III, Salim Gauwloos e Carlton Wilborn all’epoca della loro ascesa erano giovanissimi e gayissimi (tutti tranne uno, Oliver). Uomini che oggi appaiono forti e con le idee chiare, anche grazie a quell’esperienza che li segnò per sempre, ma che all’epoca erano tanto di talento e determinati quanto fragili. Il lavoro della coppia di registi, se da un lato, infatti, punta sul “che fine hanno fatto 25 anni dopo”, dall’altro lato mostra il retro della medaglia di fama e ricchezza quando non si è pronti (se mai ci si può considerare tali).

Il gruppo di ballerini in Strike a Pose

Il gruppo di ballerini protagonisti di Strike a Pose – Photo: Linda Posnick – Courtesy of Nexo Digital

In 85 minuti scopriamo che questa medaglia di teste ne ha avute più di una e soprattutto, che il motto di quel tour, “sii te stesso”, in grado di influenzare una intera generazione, ha vacillato proprio con coloro che ne erano il simbolo. Sull’onda del successo prima, e a causa di quel successo dopo, i ragazzi sono rimasti schiacciati dall’eccitazione e sono scivolati in un vortice negativo, ognuno dipendente dalla sua perdizione. Il risultato è stato un conto salatissimo, come solo la vita sa presentare. La notorietà non ha concesso loro il privilegio di uno sconto, al contrario.

Strike a Pose sfrutta le storie, emotivamente intense e coinvolgenti, dei protagonisti per tenere attento e curioso lo spettatore, uno spettatore che rimane quasi in sospeso, in attesa del colpo di scena. E di sorprese ve ne sono parecchie non però la più scontata e sospirata: Madonna è la grande assente. Aleggia nell’aria, appare in alcuni scatti e filmati, la sua presenza è ovunque ed è inevitabile che in molti sperassero in una sua apparizione per rendere lo show eccitante. Questo elemento ha l’effetto del miele con le api, ci tiene desti e apre la porta alla speranza.

Carlton Wilborn nel documentario Strike a Pose - Photo: Reinout Steenhuizen - Courtesy of Nexo Digital

Carlton Wilborn nel documentario Strike a Pose – Photo: Reinout Steenhuizen – Courtesy of Nexo Digital

E, in effetti, il documentario, attira sicuramente i fan dell’iconica popstar, coloro che hanno vissuto intensamente quel periodo, e ora son divenuti incurabili nostalgici, e gli eterni curiosi di scoprire il lato oscuro delle vite degli altri. Quest’ultimo è il punto debole e al contempo forte dell’opera. Un’opera che non brilla per originalità, forse, ma vince per l’abilità di incuriosire e farci sentire normali. I nostri insuccessi sono acqua fresca rispetto a quello a cui sono sopravvissute quelle persone una volta spentisi i riflettori. Persone che quindi possono, di nuovo, essere di ispirazione.

Il valore di Strike a Pose risiede più che nelle immagini proprio nei messaggi indiretti che possono toccare le corde sia delle vecchie sia delle nuove generazioni. La comunità gay in un quarto di secolo ha conquistato tanto ma la strada da percorrere è ancora lunga. La parola fine a pregiudizi e inutili mortificazioni è molto lontana. E “siate voi stessi” è un motto sempre attuale, quasi un monito. Siamo tutti intimamente fragili ed è più semplice vivere una menzogna che ammettere chi siamo. Ce la si può fare ma si deve credere in sé stessi, un’impresa che talvolta è a dir poco titanica.

Strike a Pose, dopo l’anteprima all’ultima Berlinale e al Biografilm Festival di Bologna, sarà nei cinema oggi e domani, 5 e 6 dicembre 2016. L’elenco delle sale è disponibile sul sito di NexoDigital.it

Vissia Menza