Recensione di Zombi, il cult-movie di George A. Romero in HomeVideo dal 24 novembre
Se nel 1968 La Notte Dei Morti Viventi aveva di fatto gettato le basi dello zombie movie ed incoronato l’allora ventottenne (!) George A. Romero re dei morti viventi, è con Zombi – dieci anni tondi dopo – che lo stesso regista espande il medesimo universo ed ingigantisce su scala planetaria l’immaginario “zeta”.
Accade con un racconto lungo ed articolato, che si conficca nella leggenda del cinema horror e ridefinisce quasi definitivamente il sottogenere: Romero scrive e descrive la fenomenologia dei morti viventi, spingendo il coltello molto più in profondità nella putrida ferita aperta una decade prima.
I due film sono molto diversi nella localizzazione temporale ma non solo, anche in estetica, toni narrativi ed implicazioni sociali: con Zombi (ermetica trasformazione del ben più suggestivo originale Dawn Of The Dead), lo scenario dell’invasione dei non-morti non è più un cimitero o una fatiscente baracca isolata, bensì la nazione intera. Quello che nel primo film sentivamo al radio-notiziario, in Zombi è davanti ai nostri occhi, lo spettacolo di un’umanità ad un passo dal definitivo sipario.
Qualche settimana dopo l’inizio dell’epidemia, con i morti che tornano in vita con un irrefrenabile appetito di carne umana calda e viva, una coppia di civili e due agenti della squadra SWAT fuggono dalla città, in elicottero, verso un avamposto sicuro.
La loro destinazione accidentale diventerà un enorme centro commerciale, in cui dozzine di morti ambulanti continuano ad abbozzare le loro attività quotidiane e ad imitare i loro riflessi consumistici.
L’edificio tentacolare non riserva tuttavia solo insidie, ma un rifugio pieno di risorse, viveri e soprattutto armi: così il quartetto prende possesso del “mall” e, nella pancia del mostro, studia tattiche e strategie per tenere duro, non perdere il senno e resistere all’orda affamata fino alle prime luci dell’alba.
Dall’anatema “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra” proferito dal carismatico protagonista Peter (Ken Foree) alla fontana piena di sangue, corpi e manichini, dalla scena della “ricarica” in armeria fino allo zoppo Roger trasportato su una carriola da combattimento, Zombi è uno dei film dell’orrore dal profilo più cult di sempre.
In realtà, non uno dei più spaventosi o macabri, perché solo chi non ha mai visto la pellicola oserebbe classificarlo come horror puro: Zombi è molto più di questo, un dramma globale apocalittico che, dopo i primi meravigliosi e caotici venti minuti di antipasto, si sposta sequenza dopo sequenza verso una pionieristica satira grondante sangue. A tratti, azzardando, una commedia putrescente che critica e ridicolizza l’umanità e i suoi istinti.
Nel centro commerciale dei morti, una delle location più suggestive a memoria, i carismatici protagonisti vengono seguiti alla perfezione dai movimenti di macchina di Romero, mentre intraprendono una vera e propria guerra di trincea con l’esercito dei morti viventi.
La vena umoristica del film si traduce in un impatto di intrattenimento, lontano da scorribande estreme o raccapriccianti: i superstiti non sembrano in effetti così spacciati, gli zombie (parola quasi mai proferita nel film) grigiastri e barcollanti non paiono quelle macchine di morte che invece sono, e così è facile che il fascino vintage slitti a volte verso il démodé e che la claustrofobia si stemperi.
Il divertimento surclassa la paura e le metaforone (sociali e di contagio) arretrano di fronte alle gustosissime svolte narrative che conducono al folle e concitatissimo ultimo atto, in cui una gang di nazi-bikers irrompe nell’edificio per depredarlo. Il loro capo è l’iconico Tom Savini, portatore di avveniristici trucchi ed effetti speciali: suoi, ovviamente, i morsi, le viscere, le lacerazioni e le teste che esplodono nel banchetto finale, un triangolare all’ultimo sangue tra buoni, cattivi e cattivissimi.
Quello di Romero è un film che, ante litteram, apre in maniera sconfinata gli orizzonti del mito zombie, puntando meno sul grottesco (cosa che farà invece Fulci un anno dopo nel bel più cruento Zombi 2) e più su umanità (come dimenticare la toccante scena in cui i protagonisti si concedono una cena a lume di candela per rimanere aggrappati alla vita quotidiana e agli affetti?), z-filosofia e simbolismi.
Del film esistono tre versioni. La prima e più estesa, di ben 133 minuti, presentata alla premiere del Festival di Cannes del 1978; la director’s cut di Romero, di 127 minuti; infine, la “cut” europea di Dario Argento – curatore coi Goblin delle musiche di Zombi e intercessore per la co-produzione di Claudio Argento e Alfredo Cuomo – ritoccata e trascinata sotto le due ore.
Le trovate tutte nel monumentale cofanetto curato da Midnight Factory ed uscito il 24 novembre per celebrare la rimasterizzazione della pellicola.
Disponibile in versione 4K, Bluray (4 dischi) e Dvd (2 dischi), Zombi soddisfa il vostro appetito “extra” con altri 150 minuti di materiale succulento: uno speciale sul restauro, le interviste “Parlando Dei Morti” ai curatori Nicolas Winding Refn e Dario Argento e al “Mago Del Gore” Tom Savini, la conferenza stampa e la presentazione alla proiezione di mezzanotte in occasione della Mostra del Cinema di Venezia 2016, lo speciale “Quando all’inferno non ci sarà più posto” con interventi di Argento e del compositore Claudio Simonetti, trailer cinematografici, spot tv e i risultati del contest “Zombi fan art”.
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole
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