è di nuovo giovedì, la spesa, le lezioni, la riunione condominiale con insolite tensioni, un boccone al volo e di corsa al cinema, si spengono le luci e lì in primo piano sul grande schermo appare un palazzone decadente schiacciato da imponenti nuvole grigie nel degrado di un’anonima periferia francese
d’un tratto ci ritroviamo in un interno affollato nel bel mezzo di una riunione condominiale, la coincidenza mi incuriosisce, all’ordine del giorno l’ascensore da sostituire, sono tutti d’accordo tranne Sternkowtiz, inquilino del primo piano, lui non ne ha bisogno, a suo dire, ma noi sentiamo tutti che si pentirà della propria scelta
la votazione
è
semicomica
i condomini si dileguano e una navicella spaziale atterrata sul tetto dell’immobile consegna alla storia l’astronauta John Mckenzie, si è smarrito pover’uomo, suona un campanello in cerca d’aiuto e Hamida, affabile donna marocchina, senza esitazione apre la porta e lo accoglie amorevolmente, imparano a capirsi e a volersi bene, un bene grande e insieme attendono l’arrivo della NASA
di lì in poi prosegue l’inimmaginabile, veniamo sorpresi a ogni piè sospinto da delicate scene surreali voliamo a mezz’aria in estasi con il sorriso sulle labbra e ci lasciamo trasportare dalla maestria del regista Samuel Benchetrit in una nicchia magica dove per tutta la durata del film assaporiamo l’impercettibile e gustiamo una visione originale della vita nel silenzio ovattato dell’immaginazione, senza chiasso intorno, gli occhi non ci bastano, attiviamo il cuore
Samuel
ti adoriamo
e
scatta
un immenso applauso mentale
da tutto il pubblico presente e perfino quello assente
sei personaggi in scena, tre incontri veri, l’astronauta John Mckenzie e l’amorevole Hamida, Charly, un adolescente in cerca di affetto e la vicina Jeanne Meyer, attrice degli anni ’80 alla ricerca di una parte, un’infermiera di un ospedale lì accanto e Sternkowtiz che dopo pochi minuti il destino cinematografico inchioda su una sedia a rotelle, è successo il prevedibile, come farà ora a uscire se l’ascensore non lo può usare, ci domandiamo tutti in coro mentre la trama prosegue il suo corso
mi guardo intorno, ascolto intensamente il silenzio e sento ogni parola non detta, dove saranno mai finiti tutti gli altri condomini ci stiamo chiedendo in sala all’unisono, il palazzo è grande, dieci piani almeno, ma non compare mai nessuno, né sulle scale, né nei corridoi, neppure alle finestre, mai, saranno tutti rinchiusi nei loro appartamenti o staranno tutti guardando il nostro stesso film dallo spioncino delle porte o impegnati a nostra insaputa in altrettante melanconiche storie d’amore per sfuggire alla solitudine
ogni appartamento cela un mistero
e
ogni essere umano altrettanto
la speranza è lì dietro a ogni porta
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection