mi incammino verso la meta seguita da due uomini che stanno commentando il film di questa sera, La corte, un cosiddetto film giudiziario, stanno dicendo, dove gli attori inscenano i riti processuali con rigide norme e formule, il protagonista è Xavier Racine, Presidente della Corte di Assise di una cittadina francese
serro le orecchie e allungo il passo, non voglio sentire, amo la sorpresa della visione, ma loro incalzano, lo descrivono come un individuo scorbutico e poco amato, corro e loro fanno altrettanto, cambio marciapiede e questi mi tallonano, mi staranno pedinando, li tengo a bada con la coda dell’occhio destro mentre il sinistro controlla la strada, il racconto prosegue e devo confessare che ne sono incuriosita, pare che il regista Christian Vincent in questo film superi se stesso e così pure il giudice, un Fabrice Luchini eccelso, mi stupirei del contrario in realtà
dicono che durante il processo Racine ritrova un’affascinante anestesista che lo aveva curato anni addietro dopo un grave incidente, mi tappo le orecchie con due dita, non voglio sapere, temo stiano per rivelare il finale, eppure non resisto, siamo tremende noi donne, sollevo un indice da un orecchio e mi faccio travolgere da parole magiche che si librano a mezz’aria
il giudice è innamorato
richiudo l’orecchio e mi infilo diritta in sala, finalmente li ho seminati, entro, mi accomodo al solito posto tra gli affezionati vicini di ogni giovedì sera ansiosa di scoprire gli sviluppi della vicenda e
al buio
mi immergo nell’aula di un tribunale dove ha luogo un processo per infanticidio
un palco
qui
e
nella realtà
commenti pungenti sfuggono al controllo di giudici disattenti e trafiggono le orecchie di Racine scaraventandolo sul banco degli imputati con l’accusa di insensibilità, in un’inversione di ruoli indesiderata, lui non vi si riconosce, ne è profondamente addolorato, lui così anonimo e solitario, innocuo a suo dire, troppo preciso forse, mimetizzato dietro a quella sciarpa rossa parafulmine di ogni eventuale commento, come apprendiamo per sua stessa ammissione
è così
agli occhi degli altri appariamo diversi da come ci percepiamo
ahimè
i minuti passano, il processo incalza, i testimoni si alternano, le sicurezze vacillano, l’ideale di verità viene messo in discussione e l’immagine severa di Racine man mano si sgretola e rivela un animo delicato che ci rapisce
l’introspezione la fa da padrona
il film inverte rotta nel preciso momento in cui Racine chiama con voce ferma il nome della giurata popolare Ditte Lorensen-Coteret, è lei, è l’anestesista di cui parlavano i due uomini misteriosi, si alza e prende posto alla sua sinistra tra gli altri, lui la segue con gli occhi e con tutto se stesso mentre noi, pubblico attento, diventiamo grati testimoni di infiniti sguardi loquaci
il giudice è innamorato
sì
e
anche lei
lui a destra e lei a sinistra
riuniti dal destino
lui la ricopre di velate lusinghe e lei diventa silenziosamente spavalda, lo guarda impenna le spalle verso l’alto sempre più in alto ora è altissima le vertebre si distanziano una dall’altra a vista d’occhio facendo leva sul collo e il bacino, assume le sembianze di una statua dorata infilzata su una cupola di marmi pregiati mentre Racine sorride sotto i baffi esprimendo tutta la sua ammirazione, senza nemmeno proferir parola
un banchetto per gli occhi del cuore
ritorna la luce e noi ci rattristiamo per la fine di un capolavoro che vogliamo rivedere al più presto
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection