“L’amore non ricambiato uccide più gente in un anno della tubercolosi” 

Party sfarzosi, case immense che paiono regge, donne bellissime in abiti da mille e una notte al braccio di gentlemen in smoking. Le notti a Los Angeles negli anni ’30 erano uno spettacolo. Scorrevano fiumi di champagne, l’industria del cinema macinava successi, produttori, agenti e aspiranti attori s’incontravano in ogni luogo, pronti a concludere affari redditizi per tutti. Hollywood non conosceva confini, era un sogno lucido dentro e fuori dagli studios. Un set perfetto in cui ambientare una storia d’amore, di legami di famiglia, di crescita e, soprattutto, cornice ideale in cui inserire i protagonisti della nuova commedia scritta e diretta da Woody Allen, Café Society.

Al quarantasettesimo film (47!), il primo girato interamente in digitale, il cineasta newyorchese ci porta nella calda L.A. per seguire i primi passi di Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), un impacciato giovane, determinato a trovare la propria strada. Allontanatosi dal Bronx con la speranza che il famoso “zio Phil” (Steve Carell), agente delle star, uomo dal carisma infinito e grande seduttore, lo introduca nel business, Bobby si scontrerà con una realtà diversa da quella desiderata. E sarà proprio la segretaria di Phil, Vonnie (Kirsten Stewart), unica amica di Bobby in città, e suo primo amore lontano da casa, il fil rouge di tutta la storia. Una storia nostalgica, che ci mette di buon umore e ci fa vivere 90 minuti da favola.

Incorniciato da una fotografia vivida, dorata, che riflette il clima e la passione dei suoi personaggi (e s’inchina al meraviglioso Technicolor in auge in quegli anni), Café Society parla di sentimenti e ruota intorno ad uno dei locali più trendy di New York, la metropoli in cui il nostro Bobby torna con il cuore infranto, il luogo che farà la sua fortuna, facendogli conoscere fama, successo e la sua seconda Veronica (Blake Lively). Le due metropoli per eccellenza s’incontrano, quindi, per passarsi il testimone, il primo amore e quello adulto si sfiorano proprio nella Grande Mela, e i tic del nostro protagonista non mancheranno a ricordarci chi ci sia dietro la macchina da presa.

A sorpresa il regista si è riservato il ruolo di narratore, al suo posto sullo schermo c’è invece Eisenberg. In completo color tabacco troppo ampio per il suo esile fisico, l’attore si presta perfettamente a diventare l’alter ego di Allen. Al suo fianco la bruna e la bionda (una Kirsten Stewart acqua e sapone quasi simpatica e una Blake Lively ammaliante come non mai), un folto gruppo di caratteristi e Carell la cui presenza scenica si fa più imponente a ogni nuova prova. Dopo alti (Blue Jasmine) e bassi (To Rome with Love), il prolifico cineasta torna, per lo meno parzialmente, nell’amata città natale, torna alla commedia intrisa di ottimo Jazz, impreziosita dalle scenografie dell’immancabile Santo Loquasto, e dimostra di riuscire ancora a regalare sogni al suo pubblico.

Café Society è un’opera retrò, calda, semplicemente squisita. È attenta, frizzante e ha una dolce sceneggiatura disseminata di quelle sagaci battute, e mille nevrosi, che hanno contraddistinto le pellicole di Allen sin dagli inizi. È viva, matura e, dopo essere stata l’apertura ideale dell’ultimo festival de Cannes (“la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo” è già culto), si accinge ora a sedurre l’audience di casa nostra.

Vissia Menza