AMANDA KNOX, il documentario di Netflix in anteprima a TORONTO 2016
Il caso di Amanda Knox ha conquistato la prima pagina dei quotidiani di tutto il mondo ed ha dominato le notizie sui giornali italiani per mesi. Oggi è diventato un documentario, prodotto da Netflix (verrà trasmesso il 30 settembre), e ha avuto la sua anteprima al TIFF. Il film sviluppa una nuova indagine, dà voce ad ognuna delle parti coinvolte e lascia libero l’audience di decidere se Amanda sia o meno colpevole.
Riassumendo i fatti. Nel 2007 una splendida studentessa inglese, Meredith Kercher, viene uccisa a Perugia. La sua coinquilina americana, Amanda Knox, è tra i primi sospettati insieme al fidanzato, Raffaele Sollecito. La stampa internazionale accorre nella città italiana e dà il via a un enorme tamtam mediatico. Amanda e Raffaele continuano a cambiare la propria versione, cosa che agli occhi degli investigatori li rende sempre più colpevoli. In particolare quando Amanda indica il suo capo come il probabile killer di Meredith. L’uomo viene arrestato ma, verificato l’alibi, subito rilasciato. Perché Amanda avrebbe dovuto accusare un innocente? Scuramente perché è colpevole. E perché Raffaele avrebbe dovuto cambiare il racconto di quella notte? Sicuramente perché sta nascondendo qualcosa.
Sta di fatto che l’esame del DNA incrimina un’altra persona, Rudy Guende, un soggetto noto alle forze dell’ordine a causa di una serie di furti. Inizialmente l’uomo afferma che Amanda non era a casa poi, al processo, ritratta. Il che comporta uno sconto di pena per lui ma segna il destino di Amanda e Raffaele. I due ora devono provare la propria innocenza, una persona – sicuramente colpevole – dichiara che la fatidica sera erano entrambi presenti, quindi correi. La stampa ci va a nozze e ci specula ipotizzando si trattasse di un gioco erotico andato male, in cui Amanda ha ucciso Meredith in un momento di follia.
Nel documentario, Amanda, Raffaele, il pubblico ministero Guiliano Mignini e il giornalista Nick Pisa raccontano la propria versione della storia mentre lo spettatore vede scorrere le immagini della scena del crimine e del processo, e sente le deposizioni rilasciate alla polizia e le conversazioni intercorse tra Amanda e la madre mentre era in prigione. Quello che si delinea è un quadro in cui Amanda sarebbe stata sospettata non per le prove raccolte bensì a causa del suo comportamento. Il suo cipiglio contro le istituzioni e il suo essere spensierata dopo l’uccisione della coinquilina, avrebbero indotto gli inquirenti ad imboccare una determinata strada. Nel momento in cui avevano un vero sospettato in custodia, Guende, Amanda doveva comunque essere implicata finanche per una teoria inverosimile. Amanda e Raffaele alla fine sono stati condannati, hanno trascorso quattro anni in prigione, poi la sentenza è stata capovolta. Ma… ma l’iter giudiziario non si è fermato, si à giunti ad una seconda condanna, quindi all’assoluzione nel 2014-2015.
La peculiarità di questo film è che sostiene, per quanto possa fare un documentario, l’innocenza di Amanda e Raffaele. Tanto si è però affermato e scritto sul caso, che lo spettatore è tuttora vigile e molto attento a tutto ciò che Amanda sostiene. Magari non con riguardo al suo coinvolgimento nell’omicidio, ma – forse – su dove si trovasse. Il problema di Amanda non è cosa dice ma come: si ha la costante sensazione stia mentendo. Non ci si può fare nulla. Quando inquadrata, è sempre struccata e senza una messa in piega, ovviamente, vuole essere percepita come una vittima, ma qualcosa non quadra. I suoi sforzi appaiono eccessivi, e questo è stato il suo problema sin dall’inizio – anche se non può essere sufficiente a giustificare la prova di resistenza affrontata. Il film prova quindi ad ipotizzare come mai gli inquirenti l’abbiano indagata, in mancanza di altri appigli.
Raffaele, invece, appare come una vittima dall’inizio alla fine. Impacciato con le ragazze, conosceva da pochi giorni Amanda quando Meredith venne uccisa. Era chiaramente innamorato di quella straniera attraente e dallo spirito libero. È impossibile non provare dispiacere per lui quando ricorda i suoi forzi per inviare fiori ad Amanda al suo compleanno o quanto fosse distrutto il giorno in cui lei chiuse il loro rapporto, una volta finiti dietro le sbarre. E quando tutto è terminato, è stato l’unico a rimanere in Italia e a cercare di crearsi una vita in un Paese in cui le persone non sono ancora convinte dell’innocenza sua e di Amanda.
Gli altri due protagonisti sono il pubblico ministero Giuliano Mignini e Nick Pisa. Entrambi donano una nota di colore al documentario. Mignini ha acconsentito a partecipare con speranza di essere visto sotto una luce migliore. Purtroppo non è andata cosi e alcune sue dichiarazioni hanno provocato risate a scena aperta durante la proiezione al TIFF. Un tocco comico lo apporta anche Nick Pisa, con la sua personale visione del ruolo proprio e dei tabloid in generale, e sembra esserne cosciente. Nel documentario tutto contribuisce a ricostruire l’accaduto e ad intrigare lo spettatore. Netflix pare quindi aver fatto ancora una volta centro con una storia vera, con un crimine raccontato cavalcando lo stile di “Making a Murder”(ma con più fatti e opinioni).
“Amanda Knox” invita l’audience a farsi un’opinione su un caso diventato via via più confuso in cui, come dice la stessa Amanda fissando la telecamera, “o sono una psicopatica travestita da persona normale oppure sono come voi”.
Articolo di Michelle Iwema
Traduzione di Vissia Menza
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