BASKIN: Bagno Turco di Sangue

Recensione del film horror Baskin di Can Evrenol da fine agosto in HomeVideo.

La copertina del DVD italiano di BASKIN

Selezionato, nominato ed apprezzato a molti festival del biennio 2015/16 (tra cui il celebre Sitges, in Catalogna), Baskin è diventato uno di quei titoli d’orrore che arroventano il web e sguinzagliano maniacale curiosità nei cultori del genere.
Vuoi per l’insolita e complicata provenienza del film, la Turchia, vuoi per l’estetica grottesca e sanguinosissima delle prime immagini disponibili e un plot enigmatico e poco lineare, il passaparola è stato travolgente.
Cercando poi notizie sul suo regista Can Evrenol, nato ad Istanbul nel 1982, si scopriva un riccioluto e torvo figuro abbracciato fieramente alla sua sterminata collezione di merchandising di He-Man: un fiero nerd degli eighties, il profilo ideale per partorire un film nostalgico, generoso e spudorato.
Per Evrenol otto cortometraggi alle spalle, l’ultimo dei quali (Baskin, appunto) si è meritato la riscrittura e i finanziamenti necessari a trasformarlo in un film.
Il titolo, che in lingua turca significa più o meno “raid”, fa riferimento alla disgraziata missione che intraprende la luridissima squadra di polizia protagonista in un edificio abbandonato. Una misteriosa richiesta d’intervento giunge sulle frequenze radio, il capitano Remzi (Ergun Kuyucu) e uomini la accolgono. Lungo il tragitto avvertimenti e moniti dicono di desistere, di non addentrarsi nei meandri dell’oscura costruzione… ma il dovere è dovere.
In quel luogo abbandonato da Dio e dall’uomo i poliziotti scopriranno l’Inferno, in una delle sue forme più sporche e viscerali.

La mattanza di Baskin è zozza. Zozza come una frittura mista di mezzanotte, e altrettanto appagante.
Non troverete un banchetto così macabro nella filmografia di paura degli ultimi anni, anche perché l’ispirazione giunge – forte, chiara e commovente – da tutt’altro periodo: i tardi anni ottanta in cui dolore e piacere, terreno ed ultraterreno, corpo e mente si compenetravano divinamente in pellicole deformi come From Beyond (1986) Hellraiser (1987), Society (1989).
Quella di Evrenol è una riuscitissima dichiarazione d’amore a Clive Barker e Brian Yuzna, che si concretizza nell’efferato feticismo corporeo e nella ritualità socio-tribale della seconda metà del film, quella più degenerata ed estrema.
Ma se il finale è un tripudio di sangue da copertina, ciò che lo precede è tutto fuorché un pretesto o un semplice antipasto: Baskin rimane a lungo in attesa, nella penombra di dramma paranormale, anche metafisico, crudo e simbolico, ricostruito e sparigliato dal passato e dai traumi infantili una-volta-tanto-accattivanti dell’insicura recluta Arda (Gorkem Kasal).
L’atmosfera, che stritola come le spire di un serpente, è di un nero abissale; le piccole parentesi di umorismo (nero pure lui) non danno la sensazione di essere in salvo. Anzi, Baskin ti fa costantemente sentire coi piedi sul primo gradino di una scala che conduce agli inferi.
Il male e i suoi presagi sono in ogni fotogramma: sgranata e cupa la fotografia, degradati e degradanti gli ambienti, facce torve e malconce (anche prima del precipitare degli eventi). Soprattutto quella del villain, freak d’altri tempi che se non è ancora un’icona alla Michael Berryman lo diventerà.
Baskin è uno di quei film che, trent’anni fa, avreste cercato nella videoteca di nicchia, chiedendo al commesso un parere, noleggiandolo e radunando gli amici davanti alla tv col tubo catodico e al videoregistratore da quindici chili. Un succulento abominio che il grande schermo forse non vuole e di certo non merita, che si traveste da direct-to-video di un 1988-bis.

Luca Zanovello

Nota: il film è disponibile sia in DVD sia in Blu-ray dal 24 agosto 2016 grazie a Eagle Pictures e Blue Swan Entertainment 

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