Immagini mute di un vecchio filmino di famiglia. Un bambino che corre, un cenno imbarazzato, uno sguardo fuggevole che guarda in camera un istante. Spezzoni di vita immortalati dalle macchie del tempo e dal musicale ronzio del proiettore che va: passeggia, dando vita all’immagine.
E poi quella gentile, armoniosa voce che comincia a raccontare. È la voce di Giulia Lazzarini, quella stessa voce capace di dar alito all’indimenticabile Ariel di Strehler[1].
Così comincia una storia. Con un aneddoto, un sorriso e una bella voce narrante. Mi viene voglia di accoccolarmi meglio sulla poltrona, stringere un cuscino, e lasciarmi trasportare dal racconto.
Quello che mi aspetta non è un documentario, è il diario di una vita ricamato su pellicola. Ed emana profumo di casa. Si assapora l’intimità della famiglia: affetto per la moglie, passione per il mestiere. Tenerezza per quella figlia amatissima. E anche un sottile dolore per quel figlio partito e mai più tornato. Un’assenza terribile, insopportabile che si riverbera in mancanza: il taglio minuzioso di ogni inquadratura amara, tanto da restare solo un’ombra sul prato assolato di una domenica in campagna.
Vi è mai capitato, seduti in metrò o alla cassa del supermercato, di sorprendervi a immaginare la vita del signore in piedi accanto a voi? Vagare con il pensiero su quale possa essere il suo lavoro, i suoi problemi, cosa abbia mangiato per pranzo. Questo ci accade perche siamo esseri narrativi: ci spieghiamo la vita in racconto. È nella nostra natura, è il nostro modo di pensare. Ci accade anche da soli, quando facciamo progetti, o raccontiamo a qualcuno la nostra giornata. Il “C’era una volta” non l’ha inventato il buon vecchio Walt Disney, c’è sempre stato. Bene, questa è la storia di Piero Portaluppi. L’Amatore.
Una storia bella, e raccontata bene. Ma d’altra parte non sarebbe potuto essere altrimenti. Portaluppi ha dedicato la vita a perseguire la bellezza. Con dedizione, con riguardo, con amore. Una bellezza scevra da ogni artificiosità. Una bellezza semplice e silenziosa come quella di un fiore. Il segreto? La cura per il dettaglio. Cura intesa come impegno, come rispetto. Come infinito, sconfinato amore. Per tutto: per la vita, per i cari, per l’architettura – che non era solo un mestiere, era la sua passione. Per le donne. Portaluppi era un amatore, un amatore delle cose belle. Di tutte le cose belle.
E così questa bellezza si riverbera in ogni aspetto della sua esistenza, colmandola di una gioia soffusa e dirompente, sempre pronta a sbocciare. Questa bellezza trasforma le centrali idroelettriche in favolosi castelli d’altri tempi. Macchinari incantati che non lavorano, concertano. E quella luce. Quella luce chiara, fresca, la luce del sole che inonda ogni ambiente rendendolo non solo sereno ma a misura d’uomo. Accogliente. Che sia una fabbrica, un palazzo pubblico, un’abitazione. È ospitale. Perché quando guardi una stanza e senza rendertene conto ti ci immagini dentro, vuol dire che l’architetto ci è riuscito. Ha fatto il miracolo. Ha creato casa.
E questa è la più grande, immensa dimostrazione d’amore.
Amore anche e soprattutto per la sua Milano. Quella Milano che ha dato tanto a Portaluppi, regalandogli opportunità, fortuna, ricchezza, grandiosità. E che ha ricevuto altrettanto nel corso del tempo. Strade, palazzi, piani urbanistici. Costante dedizione. Portaluppi la trasforma, la plasma, regala a Milano tanta bellezza. La bellezza del liberty, la grazia di uno stile fresco, equilibrato, di una linea pulita. La vitalità di sghiribizzi eccentrici, di dettagli che danno carattere, personalità a ogni ideazione. E poi la abita. Portaluppi riempie Milano di gente. Perché una città non può essere vuota. Una città, la sua città, deve essere una casa per l’uomo. E lo fa costruendo ma anche disegnando, popolando i suoi bozzetti con figurine spassose.
Tutto questo lo si vede, lo si sente, lo si annusa nel documentario di Maria Mauti. A partire da quelle stesse figurine dei bozzetti che la regista recupera, mostrando palazzi e abitazioni portaluppiani da cui entra ed esce la gente. Villa Necchi in cui girano visitatori, un postino che recupera la bicicletta arancione davanti al portone dello studio in via Morozzo della Rocca. Costruzioni piene di vita. Edifici aggraziati, nobilitati da una buona fotografia: schietta, sincera, naturale. Sapiente e semplice, e per questo adatta a trasmettere il genio dell’architetto milanese. E anche una buona regia, capace di combinare la pellicola in bianco e nero girata dallo stesso Portaluppi con immagini odierne. Senza rattoppi, senza distacchi. Ennesima dimostrazione di come l’amore e la cura genuina del genio rimangano, ieri come oggi, attuali.
Portaluppi, l’Amatore, è questo. È spuma fresca, sempre.
Federica Musto
[1]Giulia Lazzarini interpretò Ariel ne La Tempesta di William Shakespeare, rappresentata nel 1977 al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Giorgio Strehler.
La più giovane del gruppo, blogger appassionata d’arte (suo è il sito A Spasso con Apollo e Dionisio), instancabile frequentatrice di gallerie e musei. Aspirante giornalista culturale, il suo stile fresco e sincero vi spingerà a scoprire più di una mostra.
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