Recensione di MOKA il film diretto da Frédéric Mermoud vincitore del Variety Piazza Grande Award 2016
Diane Kramer è una signora solitaria. Una notte scappa da una bella villa, che scopriamo essere una clinica. La donna vuole tornare a casa. Lì prende alcune cose, del contante, e parte alla volta di Evian. Ha un compito da svolgere: deve trovare una Mercedes (o una BMW) e ottenere la sua personale vendetta.
Diane è, infatti, intenzionata a porre fine ad un mistero che le sta minando la salute mentale e fisica: suo figlio non c’è più, è stato investito e il pirata della strada non è stato mai preso. Troppo pochi gli indizi, si sa solo si tratti di una vecchia auto color moka (o cappuccino che dir si voglia), guidata da una donna bionda, con targa francese. Tra Diane e la soluzione delle indagini si frappone, quindi, anche un confine di Stato. Lei vive a Losanna, il veicolo probabilmente appartiene ad un abitante della città difronte. Sarà la risolutezza di una madre dilaniata dal dolore a dipanare la matassa.
Moka è il secondo lungometraggio del cineasta elvetico Frédéric Mermoud che approda una delle prime sere sotto le stelle di Piazza Grande ed è l’opera che vince il Variety Piazza Grande Award di quest’anno.
Tra pochi giorni nelle sale svizzere, la pellicola si basa sull’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay ed è interpretata da due grandi donne del cinema francofono, Emmanuelle Devos e Nathalie Baye (quest’ultima magistrale al Festival de Cannes in Juste la fin du Monde di Xavier Dolan).
E sulle spalle delle due attrici si regge tutto il film. Il pizzico di follia che pervade Diane (la Devos), l’innocenza dell’ignara Marlène (la Baye) e il clima uggioso sono i tre protagonisti di una storia evidentemente tragica che non pare saper decidersi. C’è di tutto un po’. Ci ingolosisce con un tocco di suspense, poi ci ri-cala nel dramma famigliare, ci stuzzica con un paio di seduzioni e subito dopo ci ri-immerge nella solitudine di Diane. L’indecisione maggiore sembra essere se imboccare il sentiero del thriller claustrofobico (dove l’assenza di ossigeno è provocata dall’ansia di mettere sotto scacco il colpevole), oppure quello del dramma straziante di chi si troverà difronte a una realtà più difficile da accettare del previsto. E, da ultimo, superare il dilemma se farsi giustizia da soli o perdonare il prossimo.
Alla fine Diane sceglierà che strada prendere a differenza di Mermoud che preferisce lanciare la palla al pubblico. Un pubblico che a Locarno 2016, ha sostenuto la madre ferita della Devos ma che, prossimamente, potrebbe emanare un verdetto differente. Moka rimane godibile, peccato sia flebile.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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