Ines (Carla Crespo) è una fotografa, è incinta, non si capisce se sia sola o meno, di sicuro è impegnata nella conclusione di un viaggio prima che la gravidanza volga la termine. È lei stessa a raccontarcelo guardandoci negli occhi. Alternando gli iPod ai walkman, sulle note dei New Order e sulle immagini dei filmini di famiglia, Ines cerca risposte e oggi è più che mai determinata a ricomporre quel puzzle lasciato a sé stesso e mai risolto a causa degli eventi.
Inizia cosi La idea de un Lago diretto da Milagros Mumenthaler. Il viaggio della protagonista sarà a ritroso nel tempo, riaprendo cassetti della memoria grazie a scatti antichi, in particolare uno, l’unico che la ritrae con il padre. Ines scaverà nei ricordi di mamma e fratello, tornerà agli anni dell’infanzia per rivivere porzioni di vacanze al lago. Lo scopo di tutto questo è un libro fotografico molto particolare che deve chiudersi obbligatoriamente entro il mese di marzo.
L’opera in Concorso Internazionale qui a Locarno 2016 difetta di ritmo e intreccio. Si avverte ben presto la mancanza di un non-so-che, non stupisce quindi che immedesimazione ed emozioni tardino ad arrivare. È la magica colonna sonora a mantenerci di buon umore e indurci a perdonare l’assenza di quei dialoghi che giustificherebbero i minuti trascorsi a vuoto, e stuzzicherebbero la nostra curiosità. Perché, a ben vedere, un piccolo mistero da risolvere c’è, per lo meno per chi guarda, ma non gli si dà la debita importanza e lo spettatore se ne accorge subito.
La storia di due fratelli, di una mamma che ha sempre l’ultima parola, nonostante un aspetto sofferente e fragile, e di un padre che manca (e si sente) perché siamo in Argentina, dovrebbe essere di quelle in grado di travolgerci tutti da Nord a Sud e, invece, non funziona. È unicamente l’attesa di fatti che non si paleseranno mai a tenerci saldi alla sedia e vigili. La fortuna di La Idea de un lago è la durata limitata e l’alternanza tra passato e presente. Due fattori che ci rendono meno greve l’attesa dei titoli di coda.
Il film di Milagros Mumenthaler, vecchia conoscenza di questo Festival (vinse il Pardo d’oro con il suo primo lungometraggio), dimostra le classiche buone intenzioni ma esse non bastano neppure a farci trovare le parole per scrivere una recensione articolata e estesa. È un buon compito che purtroppo non riesce ad andare oltre. Bisognerà quindi attendere la prossima prova per sperare in una poesia, in un dramma, in una storia da amare. Tutto qui. Sopportabile ma debole.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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