THE GIRL WITH ALL THE GIFTS, la conferenza stampa a Locarno 2016

Gemma Arterton alla conferenza stampa di Locarno – Foto di Luca Zanovello

La prima sensazione che emerge dalle parole delle attrici Gemma Arterton e Sennia Nanua, dello sceneggiatore Mike Carey e della produttrice Camille Gatin, è che realizzare The Girl With All The Gifts, film d’apertura della 69° edizione del Festival di Locarno, sia stata un’esperienza dannatamente divertente.
Carey, la cui storia breve è diventata prima un romanzo ed ora un lungometraggio, chiarisce: “non lo definirei un film horror, ma un racconto profondamente umano con qualche elemento d’orrore”.
Come a ribadire la natura e l’esito di un film che mostra – ma non si sofferma su – gli zombie: è una storia che nasce e dipende dalla figura della giovane Melanie, l’innocente.

E la giovanissima Sennia Nanua racconta come è diventata quella Melanie punto di contatto e raccordo tra umani ed infetti: “ho preso parte ad un workshop televisivo, lì erano presenti degli emissari della produzione del film, mi hanno proposto un provino e… ho preso la parte” dice schermandosi un po’ da sguardi e fotocamere. Scelta per la sua apertura mentale ed estroversione, ultima provinata di oltre 500 attrici, sottolinea la Gatin. Destino, insomma.
La Nanua racconta la sfida affascinante e complicata di interpretare una creatura che non può controllarsi, 50% zombie e 50% umana: “questo all’inizio mi ha spaventata, poi sono stata aiutata dal regista Colm McCarthy. Ho imparato ad apparire affamata di carne umana, a digrignare i denti… E anche a combattere, non avevo mai fatto una lotta, prima!”.

Sennia Nanua alla conferenza stampa di Locarno – Foto di Luca Zanovello

Una giovane protagonista aiutata dalla più esperta collega Arterton, la quale parla dell’atmosfera rilassata e divertita del set. “Abbiamo avuto tempo a disposizione, si è instaurata una buona energia. Sennia portava regali e dolci, si percepiva un clima cameratesco nato in maniera completamente naturale”.
L’ex Bond girl racconta cosa l’ha convinta del progetto: “ho trovato il copione molto umano, mi attraeva il rapporto che il mio personaggio coltiva con la piccola Melanie. Mi piacciono le storie che mi toccano, indipendentemente dal fatto che nascano da tematiche quotidiane o da voli di fantasia”.

Alla domanda se The Girl With All The Gifts sia, come quasi tutti gli zombie movie, un film politicizzato, Carey risponde che è piuttosto un film “…insolito. E’ anche un film politico, dove ancora una volta l’uomo divide il prossimo in categorie, tra amici e nemici. Anche nella nostra società ci sono categorie infette, che non sembrano esistere: mi riferisco ai rifugiati, ai poveri, ai malati. Credo che il film parli soprattutto di trovare il lato umano nel prossimo”.
Lo stesso sceneggiatore risponde a chi chiede se sia così necessario ritrarre mali e malattie cinematografiche, quando ci sono già i dolori di quelle reali (es. l’ebola): “Non viviamo in una torre d’avorio. Il futuro, nella fantascienza, è sempre una metafora: ci piacciono i racconti post-apocalittici perché purtroppo sentiamo davvero che la fine è vicina. Per certi versi, è come guardare un reportage. Gli zombie hanno rappresentato tante cose nella storia del cinema, i nostri sono una versione 2.0… Melanie passa da infetta a figlia, viene progressivamente capita e amata. Credo che The Girl With All The Gifts parli di comprendere l’altro, di entrare in contatto nonostante il divide”.
“Inoltre”, completa la Arterton, “c’è anche una riflessione pedagogica, sulla curiosità dei bambini e il ruolo degli insegnanti.”

Gemma Arterton alla conferenza stampa di Locarno – Foto di Luca Zanovello

L’attrice dedica qualche parola alle suggestive location del film: “abbiamo girato delle scene in questo meraviglioso ed inquietante ospedale derelitto, rimasto a marcire per oltre dieci anni”. “Fortunatamente, in Inghilterra abbiamo molti posti così”, aggiunge ridendo.
A completare il quadro, la Gatin chiosa: “Anche gli ambienti esterni erano incredibili, soprattutto quelli in Cornovaglia. Abbiamo avuto un approccio naturale al film, scegliendo il minor numero possibile di soluzioni digitali, poco green screen e molti luoghi reali”.

Luca Zanovello

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