LIGHTS OUT: luci salvifiche e ombre mortifere

Recensione del film Lights Out di David F. Sandberg

La locandina del film Lights Out

Non sono molti i casi in cui un cortometraggio assurge a cult e si guadagna la produzione di un film intero. È ancor più raro che a promuovere e produrre il progetto sia un’icona di genere del calibro di James Wan (Saw – L’Enigmista, Insidious), Re Mida o quasi dell’horror contemporaneo.
Questo è stato il fortunato ed esplosivo percorso di Lights Out, uno short film liofilizzato di appena 2,40 disturbanti minuti (lo trovate cliccando QUI) firmato dal regista svedese David F. Sandberg nel 2013, che raccontava di oscure presenze visibili solamente quando le luci si spengono.

Tre anni dopo ecco dunque un lungometraggio, diretto dallo stesso Sandberg, che trasferisce l’intuizione di Lights Out su grande schermo e in un incubo più articolato: quello vissuto dal piccolo Martin (Gabriel Bateman, Annabelle) e dalla sorellona Rebecca (Teresa Palmer, Warm Bodies, Codice 999), perseguitati nelle rispettive infanzie da una presenza malevola che pare in qualche modo legata indissolubilmente alla famiglia e al passato della madre Sophie (Maria Bello, A History Of Violence, Prisoners).

Interruttore su, le ombre svaniscono. Interruttore giù, ti perseguitano. Giochino furbetto, non inedito (Al Calare Delle Tenebre, 2003).
Rebecca iper-illumina le stanze, cercando di preservare l’unità familiare, la vita di Martin e la psiche di mamma. Ma il buio sa sempre come farsi strada.

Una scena del film Lights Out – Photo: courtesy of Warner Bros. Italia

Forte di un’apertura al box office americano da urlo, Lights Out giunge sui nostri schermi in un’estate ricca di brividi di qualità (It Follows, The Conjuring 2 e, a breve, The Witch) che offrono prospettive speranzose agli horror maniacs.
L’opera di Sandberg ha premesse intriganti, una sequenza iniziale divertente e grottesca, ma presto scricchiola e dimostra qualche limite inatteso: l’acuto concept del cortometraggio, che muove il Male a ritmo di “click” di interruttori in un letale riadattamento dell’“un-due-tre-stella” fanciullesco, si diluisce e smarrisce sulla lunga distanza, perdendo carica angosciosa ed un climax come si deve.

Lights Out è tecnicamente solido ma privo di scossoni ai nervi, sobbalzi e unghie conficcate nei braccioli: non un dettaglio, insomma, soprattutto considerando la molesta inquietudine che invece trasmetteva l’omonimo corto.
Le presenze non hanno la veste grottesca di un Insidious o la surrealtà fumettistica del Babadook, uccidono con attenzione alla classificazione “per tutti” del film, bene ma soft. La risoluzione e il background, prevedibili.

Una scena del film Lights Out – Photo: courtesy of Warner Bros. Italia

A colmare qualche buco di troppo ci pensa la fresca regia di Sandberg, che con Wan stringe un sodalizio duraturo: Annabelle 2, seguito del pessimo spin-off di The Conjuring, sarà affidato proprio al giovane regista.
Buono anche il cast, perfettamente sintonizzato: la Palmer ha le carte in regola per diventare una moderna scream queen, mentre la Bello mette spudoratamente in mostra la sua appartenenza a un’alt(r)a categoria.

Lights Out, nel computo finale, è tuttavia una tacca sotto le aspettative create dal sostegno di Wan e dalle gustose premesse narrative. Come direbbe un professore al bimbo pigro, l’allievo ha i mezzi ma non si applica, si trascina alla sufficienza restando relegato a ruolo secondario (e tutto sommato trascurabile) della provvida estate orrorifica ’16.

Voto: 6/10

Luca Zanovello

 

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