Se tutti vedessimo le stesse cose come faremmo a inventare e produrre cose diverse?
Vedere tutti le stesse cose. Curioso come in un mondo iper-visibile come quello di oggi possa venire alla ribalta uno dei problemi più antichi di sempre: le vedute limitate. Pensiamoci un attimo. Abbiamo la televisione, abbiamo internet. Bastano i quattro pollici di uno smartphone per vedere in ogni momento cosa accade in ogni luogo della terra – e oltre. Ci portiamo in tasca tante piccole finestre sul mondo che, come per magia, ci mostrano tutto ciò che vogliamo, quando lo vogliamo.
Eppure, paradossalmente, siamo in ogni istante sull’orlo della cecità. E non solo perché – parafrasando Didi-Huberman – tanto rumore di fondo finisce con lo stordirci, riducendoci a guardare come davanti a uno schermo bianco in cui non siamo in grado di riconoscere più nulla di ciò che abbiamo davanti. Siamo resi ciechi perché perdiamo la nostra volontà critica nel guardare.
Vediamo solo ciò che ci viene mostrato, dimenticando non solo che c’è altro al di fuori dell’inquadratura della telecamera, ma anche che ciò che stiamo guardando è mediato, veicolato, opaco. Opaco nel senso di non trasparente, non immediato. C’è qualcuno a dirigere l’occhio della telecamera, a scegliere cosa inquadrare e come inquadrarlo. A decidere quale implicazione dare alle immagini mostrate.
Scegliere cosa mostrare comporta scegliere cosa non mostrare, cosa cancellare. E oggi, in questo tempo delll’ipervisibilità, ciò che non viene mostrato è come se non esistesse. Perché ormai sono le immagini a decretare la realtà di un fatto. Pensiamoci. Quante volte ci siamo ritrovati a dire: “Ma certo che è vero! L’ho visto al TG!”. Appunto.
Il rovescio della medaglia è che talvolta siamo talmente accecati dall’immensa scelta d’immagini che abbiamo davanti, da perdere totalmente di vista ciò che ci passa davvero sotto gli occhi. Oltre lo schermo bianco, anche il velo dell’abitudine. Passeggiamo e non vediamo più ciò che abbiamo intorno. Monumenti, case, parchi, persone.
Brutta bestia l’abitudine. Alla fine dell’800 quello splendore che oggi conosciamo come Monna Lisa era talmente entrato nell’immaginario comune da essere praticamente diventato invisibile. Era un’immagine fissa, già usata, trita e ritrita, e così si era caduti nel disconoscerla. Sapete come è tornata in voga, quando la Gioconda ha ritrovato visibilità? Quando nel 1919 un giovane artista francese di nome Marcel Duchamp decise di aggiungere a quel bel sorriso enigmatico un altrettanto bel paio di baffi. Immaginatevi lo scandalo. E così si ricominciò a parlare della Monna Lisa non come icona pubblicitaria quale era diventata, ma per la sua prima natura di opera d’arte.
Cancellare, negare per riportare il pubblico ad accorgersi, a vedere, a osservare. Da Duchamp in poi di esempi di questo tipo ne abbiamo riscontrati molti. Non ultimo Cristo che se di recente ha fatto parlare di sé per la passerella istallata sul lago d’Iseo, in precedenza è diventato famoso per aver imballato monumenti e luoghi di ogni genere. Nascosti affinché venissero notati.
E così, anche Emilio Isgrò fa della cancellazione un’arte. Fin dai primi anni Sessanta nasconde sotto segni neri le parole di testi e libri scritti da altri. Le cancella, una per una. Ma non è vandalismo, è liberazione. È il modo che Isgrò sceglie per lottare contro il senso comune, contro l’abitudine che svuota le parole. Perché cancellare è un gesto potente e contraddittorio. Rimette il tutto in discussione. E così facendo restituisce alle parole significato, attenzione, sostanza. Le riporta alla vita.
Quando le parole vengono usate solo per colmare il silenzio, quando si riducono a suoni senza contenuti, quando smettono di essere veicolo per pensieri, ideali. Quando diventano dictat o slogan invece che discorso, dialogo, discussione. È in quel momento che le parole muoiono. Isgrò combatte contro questa strage perpetuata da abitudine, convenienza, menefreghismo. La terribile strage delle parole.
La cancellatura è il tentativo di far riemergere la volontà di parlare in un mondo che sostanzialmente censura la parola e tutto ciò che è umano. Io non ho mai cancellato: ho rappresentato un mondo che cancella. Che cancella la diversità, che cancella le culture.
Federica Musto
INFORMAZIONI UTILI
Emilio Isgrò
Palazzo Reale di Milano
Fino al 25 settembre 2016
Ingresso gratuito
Tutte le citazioni sono di Emilio Isgrò
La più giovane del gruppo, blogger appassionata d’arte (suo è il sito A Spasso con Apollo e Dionisio), instancabile frequentatrice di gallerie e musei. Aspirante giornalista culturale, il suo stile fresco e sincero vi spingerà a scoprire più di una mostra.
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