Recensione del film The Legend of Tarzan diretto da David Yates
La leggenda di Tarzan edizione 2016 rappresenta tutto quello che lo spettatore può attendersi da un colossal negli anni della computer grafica e del 3D. In questa ultima rivisitazione della storia dell’uomo nato nella giungla più famosa di tutti i tempi, si incontrano elementi molto diversi tra loro, che donano al film quell’impronta di epico ed avventuroso che ormai le produzioni hollywoodiane sono diventate maestre a gestire, soprattutto dal punto di vista degli spettacolari effetti, speciali e di computer grafica, di cui qui si fa un ampissimo uso.
La pellicola si apre con Tarzan, ora conosciuto con il nome di John Clayton III, nella Londra di fine ‘800, in un ambiente aristocratico che non potrebbe essere più lontano dalle sue origini. Un invito da parte del Re Leopoldo del Belgio a far ritorno in Congo, con la motivazione ufficiale di fare da testimone a tutto quanto di buono e caritatevole è stato fatto, sarà la trappola ingegnata dall’antagonista di turno, Leon Rom, per consegnare Tarzan ad una tribù in cambio di una montagna di diamanti.
Questa è la trama, semplice, con personaggi chiari, dal ruolo ben definito, proprio come ci si aspetta, di una storia in cui i protagonisti stanno solo da una parte, o da quella dei buoni o da quella dei cattivi, senza vie di mezzo.
Dalla parte dei buoni c’è, ovviamente, Tarzan, impersonato da Alexander Skarsgard che, se si sorvola sul numero delle sue espressioni, il medesimo dei suoi addominali cioè due (con e senza camicia), non si può che apprezzarne la prestanza fisica, caratteristica di non poco conto visto il ruolo e, comunque, che contribuisce rendere credibile, nella sua fisicità e nei gesti, un personaggio che non deve permettere interpretazioni oltre a quella dell’eroe senza macchia e senza dubbi.
Accanto a Tarzan c’è, ovviamente, la sua Jane, la bellissima Margot Robbie, qui rivista in chiave più moderna e portata sullo schermo come un’eroina coraggiosa e non passiva che si unisce in viaggio al marito. Una donna che, dopo aver passato anni in Africa, si trova costretta nella rigida Inghilterra di fine secolo e la cui ribellione, insieme al suo carattere forte e coraggioso, si manifesta in diverse occasioni, soprattutto nelle scene in cui riesce a tener testa al vero grande antagonista, il malvagio Leon Rom, qui col volto del due volte premio Oscar® Christoph Waltz. L’abile attore riesce a donare a Rom più di una sfumatura, dalla sottile ironia alla presenza scenica, e a far aumentare l’attesa ogni qualvolta entri in scena.
Insieme a Tarzan nella giungla troviamo figure veramente esistite come l’americano George Washington Williams, il quale vuole andare in Congo per dare fondamento ai suoi sospetti di loschi traffici e di sfruttamento della schiavitù. Interpretato da Samuel L. Jackson, George Washington Williams è la spalla comica di Tarzan che, nella sua caparbietà di amico fedele e nella goffaggine dei movimenti, soprattutto se paragonati a quelli di Skarsgard, strappa con merito più di un sorriso.
Non si può dimenticare in tutto questo il ruolo giocato dalla natura e dagli animali. Frutto di ricerca e sopralluoghi durati settimane nel Gabon, la natura selvaggia del Congo è stata ricreata con la computer grafica conferendo al lungometraggio una marcia in più per quanto riguarda gli effetti speciali. Dal primo minuto all’ultimo ci si sente parte di questo mondo affascinante e selvaggio che non può che essere considerato alla stregua di un ulteriore protagonista.
In conclusione, The Legend of Tarzan ha tutto quello che ci si aspetta da una pellicola del genere. C’è l’avventura, l’azione, l’amore tra Tarzan e Jane – allontanati dal cattivo di turno creando empatia immediata e inducendo il pubblico a fremere per rivederli uniti. E ancora, non mancano i colpi di scena, un po’ di humor, effetti spettacolari e personaggi definiti da una sceneggiatura che ben distingue il bene dal male, in cui i buoni sono buoni (molto buoni e anche boni) e i cattivi sono cattivi (molto cattivi).
Due ore d’intrattenimento e di adrenalina in cui cast e regista fanno bene il loro compito. Un film che non passerà agli annali per la profondità del soggetto ma più di così, agli addominali di Skarsgard, non si poteva proprio chiedere.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.